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di GIOVANNI MENNELLA (Genova)
Sparsi per saxa Bagenni
(Sil. Ital., VIII, 605)
Sommario
1. Il territorio dei Bagienni e le "pietre
fluviali"
Tra i supporti epigrafici più caratteristici e diffusi nella
Cisalpina sud-occidentale, un posto d'onore spetta senz'altro alle cosiddette "pietre
fluviali": macigni di origine metamorfica e più o meno grossi, ma
sovente tanto pesanti da essere intrasportabili, che si staccano dalle rocce
alpine per effetto dell'azione erosiva dei ghiacciai e rotolano a valle, in balìa
della miriade di fiumi e torrenti di cui la regione è ricca
[1]. Le millenarie mutazioni
degli alvei hanno finito col disseminare questi "mega-ciottoloni" un
po' dovunque nelle campagne ma, per il loro particolare regime idrico, ne hanno
ricevuto di più soprattutto le aree del pedemonte romano che a nord del
Po furono occupate dalla tribù dei Taurini e, a sud, da quella dei
Bagienni [2]: in entrambe, le
pietre fluviali vennero ampiamente utilizzate come segnacoli per sepolture e
accolsero dediche per lo più limitate alla sola onomastica del defunto,
senza altri interventi estetici o testuali [3].
La natura indubbiamente povera di queste pietre, la loro comune provenienza
dall'aperta campagna e i formulari onomastici delle loro dediche, spesso
estranei alla canonica struttura dei tria nomina e ricchi, invece, di
forme celto-liguri poco o per nulla romanizzate, hanno fatto pensare a un
ambiente prevalentemente indigeno che abitava e coltivava la campagna. Continua
però a rappresentare un enigma l'arco temporale del loro utilizzo, per il
quale, mancando in questo caso gli abituali parametri di valutazione epigrafica,
ed essendo per giunta ancora mal note le fasi della romanizzazione del
territorio e scarse le informazioni dell'archeologia, i dati disponibili
risultano frammentari e si prestano ad ambigue valutazioni soggettive. Così,
per esempio, in assenza di più concrete certezze fornite dagli scavi,
alle pietre fluviali affiorate nell'area taurinense che nel quinto volume del
CIL figura sotto il capitolo Inter Durias duas, si è
attribuita una convenzionale e generica aetas aut Augusta aut extremae rei
publicae liberae in presenza di nomi epicori ancora poco o male adattati
nello schema trimembre romano, e si è data per scontata una scala
cronologica recenziore man mano che gli indizi della loro normalizzazione
diventano significativi e, infine, preponderanti [4].
Per ovvia analogia l'identico criterio è estendibile alle pietre
fluviali trovate a sud del Po, ma in entrambi i casi è evidente il
rischio metodologico di riporre un'incondizionata fiducia in schematizzazioni
astratte e soprattutto avulse dal contesto documentario, benché
apparentemente persuasive nella loro logica consequenzialità. Le riserve
di fondo, però, non implicano che si debbano per forza accantonare le
indicazioni fornite dall'analisi dei formulari onomastici, ma consigliano di
valutarle con maggiore cautela, e comunque senza annettere un valore assoluto e
sistematico a un tipo di informazioni che meglio soccorre in presenza di altri
elementi contenutistici di confronto, se e quando il corredo di scavo manca o è
poco orientativo nell'esegesi di testi già di per sé estremamente
laconici.
2. Il nuovo testo: un legionario ligure
nell'esercito di Marco Antonio
A
siffatto metro di verifica si presta una nuova pietra fluviale di gneiss che si
conserva a Piozzo (Cn), un piccolo centro abitato il cui insediamento in epoca
romana rientrava sotto l'amministrazione di Augusta Bagiennorum. Fu
trovata nel 1968 in località Roverde, e dopo essere stata riutilizzata
come scalino nell'abitazione della fattoria attigua, ora è infissa a
fianco dell'antistante cappelletta di S. Bartolomeo [5]; in
affioramento misura cm 60 x 37,5 x 31 e reca lettere di cm 4,5-5,5, rozzamente
incise e separate da interpunzioni tonde, con la dedica seguente:
C(aius) Nevvius (!) / C(ai) (filius) V(o)l(tinia tribu) Asus, /
leg(ionis) IIII.
È il conciso epitafio di uno dei non pochi legionari tornati a
casa dopo il congedo, e attestati un po' dappertutto anche nelle campagne
liguri. Il formulario onomastico coi tria nomina sottintende un processo
di romanizzazione già ben avviato ma non ancora compiuto, col nome Nevius
che qui è scritto con la semivocale geminata, e che è un ibrido
latino-celtico piuttosto diffuso come idionimo fra la popolazione indigena;
assai raro è invece il cognome Asus, anch'esso di matrice celtica
[6], preceduto dalla sigla
biletterale della tribù Voltinia [7]. Nell'insieme, dunque, si tratta di
un'onomastica sufficientemente indicativa di una cronologia ancora abbastanza
alta, e con buona verosimiglianza non eccedente l'età augustea. Vediamo,
adesso, se la qualifica di legionario è in grado di confermarla e,
magari, aiuta a definirla meglio.
Un primo indizio importante è la numerazione della legione, la
Quarta: in ordine di tempo la portarono ben sette unità, ma nel caso
presente è discriminante l'assenza del soprannome, perché l'uso di
contraddistinguere le legioni col semplice numerale si mantenne fino all'età
tardo-repubblicana
[8], quando l'unica quarta
legione operativa ed epigraficamente documentata risulta quella che venne
costituita forse ancora da Cesare nel 47, prima di diventare una formazione di
punta nell'esercito di Ottaviano e di partecipare, fra l'altro, alla battaglia
di Filippi [9]. Nella stessa
epoca, però, un'altra legione Quarta militante nell'esercito di Marco
Antonio è attestata da una serie di denari che recano la scritta
Ant(onius) aug(ur) III vir r(ei) p(ublicae) c(onstituendae) / leg(io) IIII,
e che appartengono tutti a un'emissione "tematica" fatta coniare
dallo stesso triumviro attorno al 34 a.C. [10].
Ci furono quindi due legioni contrassegnate col solo identico numerale "IIII",
entrambe prive di ulteriori appellativi, ambedue operanti durante il secondo
triumvirato e nei cui ranghi sembra ascrivibile il militare bagienno: ma in
quale delle due? Possiamo senz'altro escludere che fosse l'unità di
Ottaviano, poiché le prime quattro legioni o, meglio, quelle numerate
dall'uno al quattro, erano regolarmente formate e alimentate con reclute
arruolate dai consoli in carica [11]:
prima della riforma augustea, però, non si effettuarono regolari
coscrizioni nella Cisalpina e tanto meno nel territorio più recentemente
romanizzato dei Bagienni, né consta che Ottaviano seguisse l'esempio di
Cesare, il quale aveva immesso anche reclute cisalpine nella sua legione V
Alaudae [12]. A
qualcosa di simile ricorse invece Antonio, come informa una lettera di Asinio
Pollione scritta all'indomani della battaglia di Modena e compresa
nell'epistolario ciceroniano (Ad fam. X, 33, 4), dalla quale si apprende
che, nonostante le perdite subìte, Antonium turpiter Mutinae
obsessionem reliquisse, sed habere equitum quinque (milia), legiones sub signis
armatas tris et P(ubli) Bagienni unam, inermis bene multos. L'episodio, come
è noto, si colloca nelle complesse vicende che si vennero a creare quando
Antonio, raggiunta la Cisalpina in qualità di governatore, cercò
di farvi leve per contrastare l'imminente minaccia mossagli dall'esercito
consolare e dal giovane Ottaviano. La maggioranza delle comunità restò
allineata con l'indirizzo senatorio e di fatto lo boicottò, ma qualche
successo egli dovette pur ottenere, visto che il corrispondente di Cicerone gli
attribuì un cospicuo nucleo di cavalleria e tre legioni che il prosieguo
della lettera dice levate da Ventidio Basso nel Piceno e contrassegnate coi
numeri VII, VIII e IX; inoltre c'era pronta una nuova unità anch'essa
reclutata da un altro fiduciario, Publius Bagiennus. Il suo cognome,
chiaramente connotativo dell'etnico, lo ha fatto ritenere un emissario oriundo
del territorio bagienno che Antonio aveva mandato in quella zona ancora fresca
di romanizzazione, fidando nella sua notorietà fra i nativi per
arruolarvi i coscritti di cui aveva estremo bisogno [13].
Già di per sé valide, queste argomentazioni traggono adesso
maggiore credibilità dalla nuova epigrafe, che si accorda perfettamente,
nel tempo e nello spazio, con il riferimento ciceroniano: infatti, la cronologia
tardo-repubblicana desumibile dall'onomastica di C. Nevius Asus,
l'ubicazione della pietra fluviale nella stessa area in cui operò
l'emissario di Marco Antonio [14],
e infine la sicura esistenza di un Quarta legione fra le milizie del triumviro
convergono nel suggerire che C. Nevius Asus fu tra quanti diedero retta
alla lusinghe dell'agente antoniano. Forse già appena reclutati, e unendo
la calliditas ligure alla sicura conoscenza dei luoghi, i nuovi
coscritti contribuirono al buon esito del rocambolesco passaggio nella Gallia
Narbonese dell'esercito di cui ormai facevano parte, grazie a una serie di
stratagemmi che vanificarono l'inseguimento organizzato da Decimo Bruto
attraverso il territorio di Dertona, di Aquae Statiellae e nella
area bagienna [15]; tuttavia
sul destino successivo di questi uomini non si sa nulla, e si è
congetturato che finissero inglobati nelle restanti unità di Antonio o
costituissero una legione vernacula a sé stante [16]. Adesso l'epigrafe di Piozzo fa
propendere per la prima ipotesi, tenuto conto che nel loro stato d'origine le
legioni vernaculae portavano un appellativo anziché un numero
[17], e senza trascurare
l'eventuale decisione di Antonio nel dar vita, anche con l'apporto dei Bagienni,
a una formazione regolare costituita con gli ultimi militari che egli aveva
reclutato nella penisola, ridenominandola con lo stesso numero della
legione che, proprio nel teatro di operazioni italico e pochi mesi prima della
battaglia di Modena, lo aveva piantato in asso per passare dalla parte di
Ottaviano [18].
Dopo aver servito per tutto l'ulteriore decennio nel settore orientale
assegnato ad Antonio in base agli accordi triumvirali, nella generale
smobilitazione post-aziaca C. Nevius Asus non rientrò al proprio
domicilio d'origine, o per lo meno non ci tornò subito: la tribù
da lui dichiarata è infatti la Voltinia, e non la Camilia
dei cittadini di Augusta Bagiennorum [19]. La
sua menzione, in apparenza insolita, trova invece una spiegazione ottimale nel
passo di Cassio Dione (LI, 4, 6), che
In altre parole, dopo Azio Ottaviano confiscò le terre agli abitanti
delle località della penisola che avevano parteggiato per Antonio e li
dedusse in almeno due colonie extraitaliche, Dyrrachium in Illiria e
Philippi in Macedonia [20]:
quest'ultima, ridenominata Colonia Augusta Iulia Philippi dopo il suo
ulteriore ricondizionamento, aveva gli abitanti ascritti alla tribù
Voltinia, giusto la stessa a cui appartenne C. Nevius Asus, che
dunque finì anche lui a Filippi come colono [21].
La coincidenza si presta a qualche considerazione. Anzitutto, poiché
il provvedimento fu preso nei confronti di coloro che in Italia avevano
concretamente favorito la causa di Antonio, bisogna concludere che i Bagienni vi
erano rimasti coinvolti in misura ben più massiccia e sostanziale di
quanto faccia credere la scarna allusione dell'epistolario ciceroniano, e che
dopo Azio si vollero saldare i conti anche con precise e pregresse responsabilità
locali. In secondo luogo, è evidente che nei campi lasciati dai Bagienni
filoantoniani a maggior ragione non avrebbero potuto subentrare i loro parenti
che avevano militato nelle file del triumviro sconfitto, indipendentemente dal
servizio onorevole che essi avevano prestato in un conflitto che, a livello di
massa combattente, era stato comunque privo di motivazioni ideologiche: fu
pertanto logica e naturale la decisione di farli convergere anch'essi a Filippi,
e di ricongiungerli ai rispettivi nuclei familiari nella prospettiva di un
comune destino di coloni. In terzo luogo, risulta adesso chiaro che al posto dei
Bagienni, come altrove in Italia, andarono gli ex combattenti di Ottaviano
[22]: ne consegue che, prima
di essere ridistribuito, il territorio venne sicuramente ricatastato e fu
oggetto di un'effettiva pianificazione che però finora si è
soltanto ipotizzata sulla base della denominazione di Augusta Bagiennorum
assunta dal capoluogo e allusiva a un intervento augusteo, peraltro
inquantificabile; è anzi verosimile che la fondazione dello stesso
capoluogo, se non il suo potenziamento con un nuovo piano regolatore in parte
emerso negli scavi, sia da mettere in rapporto diretto con l'arrivo dei
veterani, benché la sua mancata elevazione alla dignità di colonia
faccia pensare a una ristrutturazione non radicale che avrebbe lasciato qualche
spazio abitativo ai nuclei di Bagienni non compromessi nell'avventura antoniana
[23]. Infine, la soluzione di
espiantare in una colonia extraitalica quelli di loro che, compresi i reduci, ne
erano stati coinvolti, non fu poi troppo punitiva: infatti, a parte il diritto
di cittadinanza che acquisirono diventando coloni, a un certo punto essi
poterono rientrare nel territorio d'origine, anche se è da notare che
C. Nevius Asus vi tornò come incola,
non avendo mutato la sua precedente ascrizione tribale con quella del nuovo
domicilio. La translatio domicilii era un diritto che veniva accordato
al cittadino che non lasciasse carichi pendenti nel confronti del suo vecchio
municipio e non vi fosse stato magistrato negli ultimi sei anni; sono però
parecchi i casi in cui, anche per inconoscibili situazioni personali, il cambio
domiciliare non comportò automaticamente un rinnovamento della tribù,
e fra essi potrebbe cadere pure il mancato adeguamento tribale di C. Nevius
Asus [24]: ciò,
naturalmente, a meno di non voler supporre operante, come disincentivo imposto
dalle contingenze del piano coloniario, il divieto di acquisire la cittadinanza
locale per quei coloni che lasciavano le loro assegnazioni e tornavano nelle
città natali. In ogni modo, all' incola competeva uno stato
giuridico inferiore rispetto a quello dei cittadini di pieno diritto, che si
concretizzava in una sostanziale limitazione delle prerogative di voto: una
condizione che tuttavia qualcuno preferì anteporre alla prospettiva di
terminare la vita coltivando una terra straniera e lontana da casa, in una
regione insicura e in mezzo a una massa di coloni eterogenei [25].
C. Nevius Asus fu dunque fra coloro che non si sottrassero al richiamo
della nostalgia, e nei campi della patria lasciata tanti anni prima chiuse
infine i suoi giorni in un periodo che si può fissare fra il 15 e il 10
a.C. al massimo, supponendolo arruolato sui vent'anni nel 43 e concedendogli la
generosa ipotesi di farlo sopravvivere ancora per un ventennio dopo il congedo
del 31.
Benché approssimativo, e pur senza recare espliciti elementi
datanti, il termine cronologico assegna con assoluto margine di sicurezza, e per
la prima volta, una pietra fluviale a un periodo compreso fra la tarda età
repubblicana e la primissima epoca imperiale, fornendo così anche
la prima testimonianza di un militare ligure coscritto anteriormente alla
riforma augustea. Ma, soprattutto, l'iscrizione contiene una bella ed eloquente
conferma della rapidità di un processo di romanizzazione dell'elemento
indigeno che, senza trascurare il debito dovuto all'"humus" lasciata
dalle precedenti assegnazioni viritane a nuclei di coloni medio- italici
[26], trovò nel
servizio militare l'incentivo più adatto per la propria emancipazione,
anticipando una prassi che presto sarebbe diventata corrente e quasi obbligata
per chi avesse avuto poche "chances" di conseguire in altro modo il
diritto di cittadinanza.
[*]
Il testo è stato presentato nella giornata di studi
organizzata in onore del prof. Albino Garzetti dall'Ateneo di Brescia il 28-29 X
1994, ed è in corso di stampa negli "Atti" dello stesso Ateneo.
Il contributo è finalizzato alla realizzazione dei capitoli relativi a
Pollentia e ad Augusta Bagiennorum nella nuova serie dei "Supplementa
Italica", e afferisce alla ricerca "La demografia delle città
della Liguria romana", finanziata con fondi MURST 40% (responsabile
centrale prof. Maria Bollini, Università di Ferrara). Oltre che il dott.
Giovanni Coccoluto e il parroco don Mario Gallo con i quali è stata
condotta la verifica a Piozzo, l'A. ringrazia, per la discussione che ha
contribuito a migliorare queste pagine, i professori Silvio Panciera, Ruggero F.
Rossi, Giovannella Cresci Marrone, Enrica Culasso Gastaldi e lo stesso onorato,
Albino Garzetti, al quale ancora una volta va il debito di devota gratitudine da
parte di un "semigiovane" ex allievo, nel ricordo degli
indimenticabili anni del Suo insegnamento genovese.
[1]
Sulla loro tipologia vd. G. Mennella, Le pietre fluviali
iscritte dei Bagienni. Aspetti e problemi di una classificazione preliminare,
in "I Liguri dall'Arno all'Ebro. Convegno internazionale", Albenga
4-8 XII 1982 (= RStLig XLIX, 1983), pp. 18-27; Id., Romanizzazione ed
epigrafia in Liguria (originalità, trasformazioni e adattamenti, in
Roma y el nacimiento de la cultura epigráfica en Occidente , Zaragoza
4-6 XI 1992, Zaragoza 1995, pp. 17 ss. Per le pietre fluviali di più
recente ritrovamento: F. Carrata Thomes, Una nuova pietra fluviale iscritta
da Farigliano (CN), «Boll. Soc. Piem. Arch. e Belle Arti», n. s.,
38-41 (1984-1987), pp. 35-41; S. Roda, Iscrizioni latine inedite del Museo
civico di Cuneo, «ZPE» 49 (1982), pp. 202-203; M. Perotti, Repertorio
dei monumenti artistici della provincia di Cuneo. 2: Territorio dell'antico
principato del Piemonte, II ("Saggio sulla viabilità antica nel
territorio dei Bagienni"), quad. 55g, Cuneo 1990, p. 170, figg.
133-135 e carta a p. 169 (presunta pietra fluviale); [M. Venturino Gambari] - G.
Mennella, Centallo fraz. Roata Chiusani, loc. Cascina Propalessa. Necropoli
della fase di transizione tra« l'età del Ferro e l'epoca romana,
«Quad. Sopr. Arch. del Piemonte» 11, (1993), pp. 241-242. Un'altra
pietra fluviale, con l'iscrizione C. Mamisi C. f. è stata di
recente localizzata da chi scrive a Morozzo e sarà prossimamente
pubblicata negli stessi «Quaderni» della Soprintendenza piemontese.
[2]
Cfr. G. Mennella, Le pietre fluviali, cit., pp. 19 e 26
(carta della diffusione areale e specchio riassuntivo). Per le
pietre fluviali dell'agro taurinense e dell'area circonvicina, peraltro
quasi sempre di dimensioni minori rispetto ai massi bagienni, vd. G. Cresci
Marrone - E. Culasso Gastaldi, La documentazione, in Per pagos
vicosque. Torino romana fra Orco e Stura, Padova 1988, pp. 13-80, col
commento di G. Cresci Marrone, L'epigrafia "povera" del Canavese
occidentale, ibid., pp. 83-89; L. Brecciaroli Taborelli, Nuovi
contributi epigrafici dal circondario di Victimulae "inter Vercellas et
Eporediam", «ZPE» 74 (1988), pp. 133-144.
[3]
Per la loro classificazione: I. Di Stefano Manzella, Mestiere
di epigrafista. Guida alla schedatura del materiale epigrafico lapideo,
Roma 1987, p. 108.
[4]
Cfr. CIL I2 pp. 687- 688, nn. 2140-2160 e Suppl.
p. 1084; CIL I2 Suppl. pp. 1084- 1085, nn. 3400-3403). Di
contro, nessun documento dell'area bagienna è stato incluso nel primo
volume del CIL.
[5]
Di proprietà ecclesiastica, è inedita ma fu
censita dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte nella scheda di catalogo
RA 01/ 2884 (neg. nr. 23399), compilata dalla dott. Giuseppa Scalva in data
14/6/1975. A livello di studi locali risulta averne trattato solo C. F. Capello,
Piozzo e la sua storia, Chieri 1967, p. 30; inoltre un'immagine della
pietra nel suo attuale posizionamento si scorge a p. 14 dell'opuscolo depliant
Benvenuti a Piozzo, distribuito dall'Associazione Pro loco. Val la pena
segnalare che le iscrizioni finora restituite dal comprensorio di Piozzo sono
quattro e tutte figurano su pietre fluviali (le altre tre sono in InscrIt
IX 1, 55-57).
[6]
Sulla forma Nevius vd. J. Untermann, Namenlandschaften
im alten Oberitalien, BN 11 (1960), pp. 301, 314-316 e carta 17 p. 313.
Circa il cognome, un Asus Cigeton(ti) f(ilius) risulta fabbricante di
terra sigillata forse sud-gallica in CIL XIII 10010, 181, al cui
riguardo cfr. A. Holder, Alt-celtischer Sprachschatz, Nachtrag, col. 711
(per altre forme con lo stesso prefisso Asu- vd. ibid.,
I, coll. 243-250, e Nachtrag, coll. 707-711; A. Möcsy, Nomenclator
provinciarum Europae Latinarum et Galliae Cisalpinae, Budapest 1983, p. 32).
[7]
Anche se è più comune con la sigla formata dalle
prime tre o quattro lettere, la citazione di questa tribù ricorre con una
ricca e svariata gamma di abbreviazioni, sulle quali vd. l'elenco del Kubitschek
ripreso da R. Cagnat, Cours d'épigraphie latine, Paris 1914
(rist. an. Roma 1964), p. 64, dove è pure contemplato l'esito ridotto
alla V e alla L, che nel caso specifico fu certo imposto da motivi di spazio.
Del resto, l'interpunzione ben appariscente fra la F e la A preclude sia la
presenza di un'indicazione diversa dalla tribù, sia la possibilità
di leggere il cognome Ulasus proposto da chi scrive nel corso della
comunicazione orale del presente contributo.
[8]
Esaminando la pietra si è potuto accertare che dopo il
numerale non esiste traccia della G riportata invece nella scheda inventariale
(vd. sopra, nota 5), e neppure delle lettere che possano rimandare alla sigla
dell'appellativo portato dalle altre "Quarte" legioni (Flavia,
Italica, Macedonica, Martia Parthica, Scythica e Sorana: cfr. E. Ritterling,
s. v. Legio, in R.E. .XII 2, 1925, coll. 1540-1564). Sulla
mancanza dell'appellativo nelle unità legionarie vd. A. Passerini, s. v.
Legio, in Dizionario Epigrafico di Antichità Romane, IV
(1949), pp. 551-552.
[9]
E' la stessa che nella riorganizzazione augustea dell'esercito
sopravvisse con il nuovo appellativo di Legio IV Macedonica: cfr. H.
Botermann, Die Soldaten und die römische Politik in der Zeit von
Caesars Tod bis zur Begrundung des Zeiten Triumvirats, München 1968, in
specie pp. 59 ss., 82 ss., 139 ss., 202-203. Un elenco delle attestazioni
epigrafiche relative alle legioni triumvirali è in A. Passerini, art.
cit., pp. 552-555, da aggiornare, per quanto riguarda l'Italia, con la silloge
di L. Keppie, Colonisation and Veteran Settlement in Italy, 47-14 b. C.,
Roma 1983, pp. 212-223. Altri elenchi, con speciale riguardo ai veterani di
Antonio, diede 0. Cuntz, Legionare des Antonius und Augustus am dem Orient,
«JÖAI» XXV (1929), pp. 70-80, e particolarmente pp. 71,
74-75.
[10]
Vd. E. Babelon, Description historique et chronologique des
monnaies de la République romaine, I, Paris 1885 (= rist. an. Bologna
1963), pp. 200-204 nn. 104-145 e specie p. 201 nn. 107-108; H. A. Grueber,
Coins of the Roman Republic in the British Museum, II, London 1910 (=
rist. an. Oxford 1970), p. 528. Per la datazione più probabile: W. W.
Tarn, Antony's Legions, CQ 26 (1932), pp. 75 ss. Da queste monete, tra
l'altro, si deduce che Marco Antonio diede una numerazione continua e
progressiva alle proprie legioni, diversamente da come fecero Ottaviano e gli
esponenti del primo triumvirato: in proposito vd. A. Passerini, art. cit., p.
552.
[11]
E. De Ruggiero, s. v. Consul, in Dizionario
Epigrafico di Antichità Romane, II (1900), pp. 754-755; A. Passerini,
art. cit., p. 551; J. Harmand, L'armée et le soldat à Rome de
107 à 50 avant notre ère, Paris 1967, pp. 246-250; utili anche
le osservazioni di E. Gabba,
Ricerche sull'esercito professionale romano da Mario ad Augusto, «Athenaeum»,
n. s., 29 (1951), pp. 180-181 (= Esercito e società nella tarda
repubblica romana, Firenze 1973, p. 59).
[12]
Cfr. C. Cichorius, in R.E. I 1 (1893), coll. 1295-1296;
D. Vaglieri, in Dizionario epigrafico di Antichità romane, I
(1895), pp. 382-384, entrambi s. v. Alaudae. Inoltre, E. Gabba, I
Romani nell'Insubria: trasformazione, adeguamento e sopravvivenze della
strutture socio-economiche galliche, in Atti del 2 Convegno archeologico
regionale: La Lombardia tra Protostoria e romanità. Como 13-15 IV 1984,
Como 1986, pp. 38 -39 (= Italia romana, Como 1994, p. 254).
[13]
La presenza di queste reclute liguri nelle file dell'esercito
antoniano è accreditata in tutti i più importanti studi sul
secondo triumvirato e nelle storie generali di Roma maggiormente dettagliate,
sicché si rimanda solo a titolo d'esempio ai riferimenti nell'opera di R.
Syme, The Roman Revolution, Oxford 1939 (tr. it., Torino 1962), p. 179;
L. Pareti,
Storia di Roma e del mondo romano, IV, Torino 1965, p. 381; M. Volponi,
Lo sfondo italico della lotta triumvirale, Genova 1975, pp. 55 ss., 58
nota 6, p. 63, dove si ridimensiona l'attendibilità delle notizie, in
gran parte di fonte ciceroniana, secondo le quali Marco Antonio alla fine
sarebbe stato costretto ad aprire gli ergastoli per immettere schiavi nei
ranghi. Per la bibliografia più settoriale, è sufficiente il
rinvio a E. Pais, Intorno alla conquista ed alla romanizzazione della
Liguria e della Transpadana occidentale (Piemonte), in Dalle guerre
puniche a Cesare Augusto, II, Roma 1918, pp. 541-543; G. E. F. Chilver, Cisalpine
Gaul. Social and Economic History from 49 B.C. to the Death of Traian,
Oxford 1941 (rist. an. New York 1975), p. 112; F. Carrata Thomes, Contributi
sulla romanità nell'agro meridionale dei Bagienni, Torino 1953, p.
68; A. T. Sartori, Pollentia e Augusta Bagiennorum. Studi sulla
romanizzazione in Piemonte, Torino 1965, pp. 53-54.
[14]
Secondo 0. E. Schmidt, "P. Bagiennus" (Cic. Ep.
X, 33 4), «Philologus», 51 (1892), pp. 186-188 (cfr. V.
Gardthausen, ibid., p. 518), la lettura P. Bagiennus o la sua eventuale
variante
Pupillius Bagiennus tràdite entrambe dai codici potrebbero essere
emendate nella forma "et populi <Popelli?> Bagienni <Bagiennorum?>
unam" che escluderebbe il riferimento alla persona (vd. le varie
congetture nel commento all'epistolario ciceroniano di R Y. Tyrrell - L. C.
Purser, VI, Dublin - London 1933, p. 250 e in quello, più recente, di D.
R. Shackleton Bailey, II, Cambridge 1977, pp. 276 e 551-552). L'ipotesi non è
da scartare, benché nella sostanza il valore dell'informazione non muti e
un cognome desunto dall'etnico di per sé non sia inverosimile, visto che
un Bagiennus è registrato dall'iscrizione carnuntina CIL
III 13481, e che potrebbe rimandare allo stesso ordine di idee il gentilizio
Bagennius tràdito dall'iscrizione parmense AE 1961, 161 =
M. G. Arrigoni Bertini, Parmenses. Gli abitantì di Parma romana, Parma
1986, p. 61 nr. 32 (cfr. A. Ferrua, Note al Thesaurus linguae latinae.
Addenda et corrigenda, Bari 1986, pp. 72-73; A. T. Sartori, op. cit., p. 54;
H. Solin - O. Salomies, Repertorium nominum gentilium et cognominum
Latinorum, Hildesheim 1988, pp. 31, 300).
[15]
Sul motivo dell'astuzia dei liguri vd. Anth. Palat. IX
516 = Fontes Ligurum et Liguriae antiquae, Genova 1976, n. 288; Tac.,
Hist. II, 13 = 472. Per la ricostruzione topografica dell'itinerario
seguito da Antonio, oltre alle precisazioni di massima date da A. Ferrua,
Inscriptiones Italiae, IX 1: Augusta Bagiennorum et Pollentia,
Roma 1948, pp. XIII-XIV, vd. F. Carrata Thomes, op. cit., pp. 63-78, con la
precedente bibliografia; A. T. Sartori, op. cit., pp. 53-58; G. Corradi,
Le strade romane dell'Italia occidentale, Torino 19682 , pp.
41 ss.
[16]
O. E. Schmidt, art. cit., p. 187; H. Botermann, op. cit., p.
195 nota 2.
[17]
La già ricordata legione V Alaudae, per esempio,
fu coscritta nel 51, ma numerata solo nel 47: vd. E. Ritterling, art. cit., col.
1564; A. Passerini, art. cit., p. 552.
[18]
Cic., Phil. III 10, 24; XIII 9, 19 ss. Sull'episodio
cfr. R. Syme, op. cit., pp. 127-128; R. F. Rossi, Marco Antonio nella lotta
politica della tarda repubblica romana, Trieste 1959, pp. 88-89; M. Volponi,
op. cit., pp. 48-49. Sta di fatto che dopo un decennio di servizio questi
legionari, così come gli altri a suo tempo reclutati in Italia, dovevano
aver maturato un'esperienza notevole e di gran lunga superiore a quella delle
forze numericamente più consistenti, ma di minor valore combattivo, che
Antonio aveva raccolto in Oriente: vd. W. W. Tarn, art. cit., pp. 75 ss.; M. A.
Levi, Il tempo di Augusto, Firenze 1951, p. 137.
[19]
W. Kubitschek, Imperium Romanum tributim discriptum,
Praha 1889 (rist. an. Roma 1972), pp. 243-244; pp. 101-102, 270.
[20]
Altre località macedoni deputate ad accogliere i
partigiani di Antonio avrebbero potuto essere Pella, Dium, Cassandrea e
Byllis, secondo P. Collart, Philippes, ville de Macédoine
depuis ses origines jusqu' à la fin de l'époque romaine, Paris
1937, pp. 229-230. Sul provvedimento richiamato da Cassio Dione oltre a Id., op.
cit., pp. 228-229, cfr. pure W. W. Tarn, The War of the East against the
West, in Cambridge Ancient History, X, 1934, p. 106; R. Syme, op.
cit., p. 305; L. Keppie, op. cit., pp. 76-80; A. T. Sartori, op. cit., pp.
104-105; Appiani bellorum civilium liber quintus, a cura di E. Gabba,
Firenze 1970, p. LIX.
[21]
Pertanto la nuova testimonianza è da aggiungere nella
tabella d) (soldats où veterans) delle liste redatte da P. Collart, op.
cit., pp. 260-261, dove alle pp. 223 ss. e 232 ss. sono delineati i primordi
della colonia antoniana e augustea, per i quali cfr. pure J. Schmidt, s.v. Philippoi,
in R.E. XIX 2 (1938), coll. 2233-2234, nonché i riferimenti
in A. Degrassi, L'amministrazione delle città, in Guida allo
studio della civiltà romana antica, I, Napoli 1967, pp. 324, 327 (=
Scritti vari di Antichità, Trieste 1971, pp. 91, 94).
[22]
Benché i programmi del vincitore prevedessero un
amalgama fra le due armate (cfr. Vell. II, 85, 2: pariter et suarum legionum
milites colonos fecit, alios in Italia, alios in provinciis), in pratica poi
si crearono inevitabili discriminazioni nei confronti degli antoniani, stimabili
a non meno di 30.000 al momento della resa: non tutti ottennero assegnazioni di
terre e pochissimi sarebbero riusciti ad averle in Italia (forse a Bononia
e a Beneventum secondo L. Keppie, op. cit., p. 80: ma l'ipotesi è
controversa, e non è da escludere che si trattasse di veterani quivi
dedotti già nel 42, dopo la battaglia di Filippi).
[23]
La fondazione viene fatta risalire a dopo il 27 a. C. (L.
Keppie, op. cit., p. 15), ma il terminus post quem finora documentato
non è anteriore al 5 a. C., data della titolatura di Augusto nella dedica
CIL V 7696 = InscrIt IX 1, 117. Lo stato della questione è
riassunto da N. Lamboglia, La Liguria antica, I, Milano 1941, p. 260; A.
Ferrua, op. cit., pp. XIII-XIV; A. T. Sartori, op. cit., pp. 102-110; la
bibliografia più recente sugli scavi nel sito è fornita da F.
Filippi, Giuseppe Assandria archeologo e le sue ricerche su Augusta
Bagiennorum, in La memoria della cultura. Giuseppe Assandria a 150 anni
dalla nascita. Atti del Convegno di Bene Vagienna, 15-16 IX 1990, Cuneo
1994, pp. 51-71. Il documento di Piozzo e le considerazioni che ne conseguono
tenderebbero adesso a confermare l'idea del Gabba (I Romani nell'Insubria,
cit., pp. 39-40 = Italia romana, cit., pp. 255-256), che in questo
settore territoriale non si fossero fatte né centuriazioni né
distribuzioni agrarie prima dell'età augustea.
[24]
Sulle condizioni della translatio domicilii e per la
relativa letteratura giuridica vd. G. Forni, "Doppia trlbù"
di cittadini e cambiamenti di tribù romane, in Tetraonyma.
Miscellanea Graeco-romana, Genova 1966, pp. 139 ss. e specie 148 ss., con
esempi e conclusioni in parte ripresi da Id., Il ruolo della menzione della
tribù nell'onomastica romana, in L'Onomastique latine, Colloque
international CNRS, Paris 13-15 X 1975, Paris 1977, pp. 90-91.
[25]
Secondo il Collart (op. cit., pp. 229 ss., 246-247),
nell'insediamento finirono, in ravvicinata successione cronologica e in forzata
coesistenza, dapprima i veterani di Antonio dedotti nel 42 dopo Filippi, poi i
pretoriani di una coorte di Ottaviano che rifondarono la colonia, e infine gli
italici partigiani di Antonio; ciò, senza contare che l'ambiente
circostante rimase ostile e fu completamente pacificato solo qualche tempo dopo
la fondazione coloniaria.
[26]
Su questo aspetto vd. E. Gabba, Rome and Italy in the
Second Century B.C., in Cambridge Ancient History, Cambridge 19892,
pp. 212 ss.; Id., I Romani nell'Insubria, cit., pp. 34 ss. (= Italia
romana, cit., pp. 253-254)O; G.. Bandelli,
Per una storia della classe dirigente di Aquileia repubblicana, in
Les "Bourgeoisies" municipales italiennes au IIe et Ier siècle
av. J. C. (Colloque international CNRS 7/10 XII 1981), Paris -
Naples 1983, pp. 175 ss. e specie p. 182; Id., Le classi dirigenti cisalpine
e la loro romanizzazione politica (II-I secolo a.C.), «DArch» 10
(1992), pp. 3- 45. Un elenco degli ultimissimi indizi epigrafici relativi alla
preesistente colonizzazione viritana chi scrive ha dato nel contributo
Gli Helvii di Alba PomPeia, «RStLig» 59-60 (1993-1994), in
corso di stampa: non si dimentichi tuttavia il ruolo, certo notevole, che
dovettero svolgere gli ex militari sommariamente alfabetizzati e responsabili
delle prime forme di acculturazione scritta nelle campagne in cui andavano o
tornavano a risiedere: G. Mennella, Epigrafi nei villaggi e lapicidi rurali:
esempi dalla IX regio, in L'epigrafia del villaggio (V Rencontre sur l'épigraphie
du monde romain, Borghesi 90), Faenza 1993, pp. 261-280
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