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Eumolpo e gli altri, ovvero lo spazio della poesia[*]

di MARIO LABATE (Firenze)



Al personaggio del Satyricon che nel suo stesso nome (Eumolpo, cioè "bel canto") dichiara il ruolo di poeta che gli appartiene nella storia petroniana, è riservata, nel momento della sua prima apparizione narrativa, una presentazione destinata a fissarne subito i tratti distintivi (83, 7):

ecce autem, ego dum cum ventis litigo, intravit pinacothecam senex canus, exercitati vultus et qui videretur nescio quid magnum promittere, sed cultu non proinde speciosus, ut facile appareret eum <ex> hac nota litteratorum esse, quos odisse divites solent. is ergo ad latus constitit meum...

Un aspetto dunque segnato da un profondo contrasto: da una parte la nobiltà quasi venerabile della fisionomia (canizie, volto intenso di chi ha vissuto molte esperienze, espressione che sembra promettere una grande anima); dall'altra parte trasandatezza e povertà di abbigliamento. Questo contrasto è capace, di per sé, di individuare un personaggio che è anche un tipo sociale. Il narratore lo esplicita in una specie di glossa narrativa: "uno di quei letterati che i ricchi non possono soffrire". Per dirla in termini moderni, un "intellettuale emarginato". Il seguito della storia si incaricherà di confermare queste aspettative, mostrandoci il ricorrente conflitto che contrappone il letterato Eumolpo e il suo pubblico reale o potenziale. Con comica ripetitività, Eumolpo approfitta di ogni possibile occasione per realizzare e proporre agli altri i frutti della propria vocazione letteraria: la reazione dei destinatari delle sue performances è quasi sempre negativa, anzi violentemente negativa (la disapprovazione si materializza iperbolicamente in una vera e propria lapidazione del poeta). Eumolpo è dunque uno da prendere a sassate[1], uno che va espulso senza complimenti dai luoghi aperti al pubblico[2], uno destinato a essere deriso e oltraggiato dai ragazzini[3] , quasi un malato contagioso, che espone chiunque gli si accompagni al pericolo di subire il medesimo trattamento[4] .

Nella cultura antica, il rapporto conflittuale tra intellettuale e società si era manifestato soprattutto attraverso il modello del filosofo cinico, critico radicale e beffardo delle convenzioni che regolano il vivere associato, capace di sfidare con la coerenza dell'autárkeia e l'orgoglio delle sue scelte esistenziali la disapprovazione dei concittadini. L'esibizione di una povertà del cultus che non riconosce limite alcuno di decorum è come una pubblica dichiarazione di rifiuto, un segnale di impossibile integrazione nella pólis. La storia di questo cliché nella letteratura latina di intonazione satirica (da Orazio a Marziale e Giovenale) è stata già scritta[5] . Per il nostro discorso è necessario richiamarne solo alcuni punti. Da una parte abbiamo il filosofo straccione, fustigatore dei mores corrotti, infaticabile predicatore di una dottrina improbabile per astrattezza e rigidità, uno dei bersagli satirici preferiti da Orazio: di questo personaggio, il satirico può mettere in ridicolo non soltanto la pedanteria e l'esibizionismo, ma anche la superficialità di una persona morale assunta senza profonda convinzione, quasi per dare un abito specioso ai propri fallimenti esistenziali e sociali. Questa superficialità può alle volte diventare vera e propria ipocrisia, e allora la maschera del filosofo austero e scarmigliato tenderà a offrire la propria copertura ai più inconfessabili vizi[6]. Dall'altra parte, nell'immagine dell'intellettuale in cattivo arnese, sofferente di una condizione materiale disagiata, consapevole della propria vocazione all'insuccesso e all'emarginazione, si traduce, soprattutto nella letteratura della prima età imperiale, la protesta nei confronti di mutamenti politici culturali e sociali che hanno inaridito il mecenatismo e compromesso il prestigio delle arti liberali, in particolar modo della poesia[7] .

Questi due poli attorno ai quali si dispone l'immagine dell'intellettuale emarginato si oppongono nettamente in un punto, che potremmo anche chiamare la responsabilità dell'emarginazione, o diciamo altrimenti, l'attribuzione della ragione e del torto. Nel primo caso (il predicatore straccione), responsabile dell'emarginazione è l'intellettuale stesso, che per così dire si merita l'accoglienza che gli viene riservata; nel secondo caso (il poeta non apprezzato e lasciato nel bisogno) l'intellettuale è innocente e l'emarginazione è invece il sintomo dell'insensibilità sociale ai valori della cultura e dell'arte. Nella gamma tematica racchiusa tra questi due poli è poi contenuta una serie notevole di varianti e di sfumature. Non sempre l'insuccesso del filosofo predicatore dipende soltanto dalle proprie defaillances ; l'insuccesso può essere il risultato convergente di un dottrinarismo saccente e dell'insofferenza a qualsivoglia istanza correttiva e pedagogica, soprattutto da parte di una società corrotta e sorda alle ragioni dello spirito (la gens hircosa centurionum, la torosa iuventus di Persio). Non sempre l'indigenza del poeta è la diretta conseguenza di un mancato apprezzamento della sua arte: la società può anche rispondere con un successo puramente superficiale, che non implica una vera responsabilizzazione nei confronti del poeta, cioè un impegno ad assicurargli condizioni esistenziali opportune all'esercizio dell'arte stessa. Non sempre la reazione del pubblico alla poesia e alla predicazione morale (nel caso della poesia satirica queste due istanze sono strettamente coniugate) è univoca: i fattori che determinano questa reazione dipendono dalla combinazione tra la qualità del poeta-filosofo e la qualità dei suoi destinatari. La buona poesia satirica sarà apprezzata da un pubblico d' élite, letterariamente educato e moralmente sano, mentre viene respinta violentemente dalla massa incolta e affascinata da falsi valori, o più semplicemente da tutti quelli che hanno la coscienza sporca[8].

Possiamo fin d'ora osservare che, anche in un quadro così articolato, non è facile individuare una precisa categoria in cui iscrivere tranquillamente il personaggio di Eumolpo, che pure si presenta con un innegabile sapore di déja vu.

Già da lungo tempo la critica petroniana ha riconosciuto che i materiali con cui il personaggio è costruito sono soprattutto di provenienza oraziana[9]. L'intellettuale male in arnese riconosce tra i suoi antenati tutta una galleria di personaggi oraziani, di cui l'antiquario fallito Damasippo e lo schiavo impertinente Davo (coi loro maestri Stertinio e Crispino, i filosofi che frequentano bagni da quattro soldi e a cui torme di lascivi pueri tirano la barba) sono solo i rappresentanti più noti. D'altra parte, il poeta invasato, perpetuamente estraniato dal soffio dell'ispirazione che, come una vera e propria mania, lo distacca dal consorzio degli uomini, ha molti tratti del poeta vesanus evitato come un malato contagioso e deriso dai monelli, dell'implacabile esibizionista capace di uccidere a suon di recitazioni la malcapitata vittima che gli rimanesse tra le grinfie, insomma di quel memorabile ritratto che Orazio ha disegnato nel finale dell'Ars poetica. Se infatti l'insania di Eumolpo è un Leitmotiv della storia, se nessuna formula può descrivere meglio dell'oraziano recitator acerbus l'accanita perseveranza con cui il nostro poeta si ostina a riproporre sempre nuove e sempre poco fortunate performances , la caricatura dell'Ars poetica, e in particolare la giocosa similitudine con la bestia feroce che rompe le sbarre della gabbia, viene evidentemente rievocata nell'episodio della tempesta. I naufraghi odono provenire dalla cabina del pilota murmur insolitum...et quasi cupientis exire beluae gemitum: l'animale è Eumolpo, che sfida la morte per comporre un sonoro poema in mezzo all'infuriare degli elementi: solo con le maniere forti, come si fa con i phrenetici, può essere condotto in salvo.

Ma, prima di concludere il bilancio oraziano del personaggio di Eumolpo, è bene dare un'occhiata al brano immediatamente successivo al suo ingresso in scena, perché qui è Eumolpo stesso che si autopresenta:

83, 8 'ego' inquit 'poeta sum et ut spero non humillimi spiritus, si modo coronis aliquid credendum est, quas etiam ad imperitos deferre gratia solet. "quare ergo" inquis "tam male vestitus es?" propter hoc ipsum. amor ingenii neminem umquam divitem fecit.

qui pelago credit, magno se faenore tollit;
qui pugnas et castra petit, praecingitur auro;
vilis adulator picto iacet ebrius ostro,
et qui sollicitat nuptas, ad praemia peccat:
sola pruinosis horret facundia pannis
atque inopi lingua desertas invocat artes.

84 non dubie ita est: si quis vitiorum omnium inimicus rectum iter vitae coepit insistere, primum propter morum differentiam odium habet; quis enim potest probare diversa? deinde qui solas extruere divitias curant, nihil volunt inter homines melius credi quam quod ipsi tenent. insectantur itaque, quacumque ratione possunt, litterarum amatores, ut videantur illi quoque infra pecuniam positi'.

Eumolpo si presenta dunque come poeta, avvalorando subito l'affermazione con uno specimen delle proprie capacità. A giudicare dalla poesiola e dal commento che segue, Eumolpo sembrerebbe impegnato in una poesia di critica morale e sociale, la poesia che nella tradizione latina ha il suo luogo naturale nella satira, ma che nella letteratura del primo secolo tende a sconfinare largamente, imponendo le sue istanze anche a generi lontani dalla Musa pedestris. A quello che Walsh ha definito un "would-be poet of Roman satire"[10] sembra convenire perfettamente la qualifica di vitiorum omnium inimicus[11] e il concetto stesso di rectum iter vitae. Del resto, anche lo stile espositivo fatto di interrogatiunculae angustae[12] e di altrettanto brevi risposte, battute di un dialogo serrato con un interlocutore più o meno fittizio ("quare ergo" inquis "tam male vestitus es?" propter hoc ipsum), ha un vago sapore diatribico-satirico[13]. Alla tradizione della satira rimanda certamente l'idea che la cattiva accoglienza del poeta e l'odiosità della sua poesia dipenda anzitutto dalla morum differentia, sia cioè la reazione della società corrotta alle istanze della correzione morale: ricordo soltanto Hor. serm. 1, 4, 25 ss. quem vis media elige turba;/aut ob avaritiam aut misera ambitione laborat;/hic nuptarum insanit amoribus, hic puerorum/.../omnes hi metuunt versus odere poetas.

Ma, a ben guardare, Eumolpo si propone come poeta in generale, piuttosto che come poeta di un genere definito: l'ostilità dei ricchi non dipenderebbe tanto dalla natura polemica della sua poesia, quanto dalla scelta di una vita dedicata alla poesia piuttosto che ai valori del denaro. E' stato osservato che gli esametri pronunciati da Eumolpo (una Priamel che oppone una serie di bíoi alla scelta personale) assomigliano, strutturalmente e tematicamente, a un vero e proprio proemio per quella specie di liber rappresentato dal variegato complesso di componimenti poetici attribuiti nel Satyricon alla sua voce[14] . Ora è significativo che il referente letterario principale di questo proemio sia il proemio alle Odi di Orazio (piuttosto che, poniamo, la satira proemiale di Orazio stesso): come Orazio lirico, Eumolpo identifica tout court il bíos philósophos con la scelta della poesia.

Rispetto alle satire programmatiche di Orazio (1, 4 prima citata, ma anche 2, 1), la situazione si è come radicalizzata: la società (la buona società, quella che avrebbe la possibilità di proteggere e favorire la letteratura) non si dimostra più soltanto insofferente nei confronti di un genere che minaccia di smascherarne le debolezze morali, ma è addirittura diventata allergica nei confronti di quella implicita divergenza nei confronti dei propri modelli esistenziali che si può sospettare in chi si mostra dedito all'amor ingenii. L'indigenza cui sono costretti poeti e letterati è uno strumento con cui una società che riconosce nell'accumulazione della ricchezza il proprio interesse esclusivo riesce a reprimere chiunque mostri di probare diversa (il povero ha evidentemente bisogno del denaro, ed è quindi sottomesso a quel denaro nei cui confronti, in quanto litterarum amator, si mostrerebbe indifferente). Corrispondentemente, Eumolpo non accetta, anzi esplicitamente contraddice quelle limitazioni di cui il poeta satirico aveva fatto (soprattutto con Orazio) un segnale poetologico, un vero e proprio marchio del genere satirico stesso. Di fronte all'accoglienza ostile riservata alla poesia satirica, il satirico oraziano sceglie la strada dell'understatement, si schermisce, nega le proprie ambizioni letterarie (1, 4, 39 ss.):

primum ego illorum, dederim quibus esse poetis,
excerpam numero...

Eumolpo invece:

ego poeta sum...

A giudizio di Orazio, per meritarsi davvero il nome di poeta occorrono qualità non comuni (1, 4, 43 s.):

ingenium cui sit, cui mens divinior atque os
magna sonaturum, des nominis huius honorem.

Eumolpo non fa nessuna fatica a riconoscersi questo dono dell'ispirazione sublime:

ego poeta sum et ut spero non humillimi spiritus.

Il satirico oraziano rinuncia esplicitamente al pubblico (al pubblico che non sia l'uditorio selezionato moralmente e culturalmente, quello degli amici). Se gli avversari se lo immaginano smanioso di pubblicizzare le proprie malevolenze[15], il satirico rivendica la propria vocazione schiva (1, 4, 73 ss.):

non recito cuiquam nisi amicis, idque coactus,
non ubivis coramque quibuslibet. in medio qui
scripta foro recitent sunt multi, quique lavante;
suave locus voci resonat conclusus...

Eumolpo è invece, abbiamo visto, un vero e proprio incontenibile recitator, e non a caso una delle scene più gustose del Satyricon ci mostra una sua performance in un bagno pubblico (92, 6):

...dum lavor...paene vapulavi, quia conatus sum circa solium sedentibus carmen recitare.

Eumolpo non si limita ad assumere senza imbarazzo alcuno quelle caratteristiche (l'ispirazione alta, la volontà di comunicazione col pubblico) che Orazio attribuiva al "poeta" e negava diplomaticamente per sé: egli pretende addirittura di associarle a qualità che, per Orazio, sono invece del tutto estranee alla grande poesia. Non gli fa certamente difetto quella vena di improvvisatore disinvolto e abbondante che Orazio giudica incompatibile con uno standard accettabile di qualità letteraria, tanto che proprio il poeta estemporaneo è uno dei bersagli preferiti della sua aggressività satirica[16]. Eumolpo è capace di mettere insieme, lì per lì, senza sforzo non soltanto brevi componimenti d'occasione come l'elegidarion capillorum o l'epigramma perduto in morte di Lica, ma anche pezzi di notevole impegno e dimensioni come la Troiae halosis, o il componimento allestito nell'infuriare della tempesta, che richiede il supporto di una ingens pergamena (più incerta l'estemporaneità del Bellum civile[17]).

D'altra parte non si può nemmeno dire che, dal repertorio della raffigurazione oraziana dell'attività letteraria, Eumolpo scelga per sé soltanto quei tratti che, dal punto di vista del satirico, sono criticati o bollati col ridicolo. Se la sua idea della poesia rivendica alcuni dei tratti che suscitavano tanta diffidenza in Orazio (soprattutto per quel che riguarda il modello del poeta ispirato), Eumolpo è però capace di far propria l'idea della poesia come impegno faticoso, conquista accessibile solo a che sia capace di scorgere, e sia disposto a percorrere, un arduo cammino. In particolare, il precetto oraziano del versare continuamente tra le mani gli exemplaria Graeca non può risultare estraneo a chi ammonisce (118, 3):

neque concipere aut edere partum mens potest nisi ingenti flumine litterarum inundata (cfr. 118, 6 plenus litteris).

Del resto, l'evocazione del magistero oraziano, e anzi l'intenzione di ereditarne il gesto insegnativo particolarmente impegnato, si poteva chiaramente avvertire nell'esordio stesso dell'ars poetica di Eumolpo (118, 1):

multos, inquit Eumolpus, o iuvenes, carmen decepit;

da confrontare con Hor. ars poet. 24 s.[18]

maxima pars vatum, pater et iuvenes patre digni,
decipimur specie recti.

Visto che Eumolpo è un personaggio costruito con materiali di provenienza soprattutto satirica, qualcuno potrebbe comprensibilmente essere tentato di dire che le sue componenti fondamentali sono suggerite dalla combinazione, immaginata da Orazio stesso nel suo trattato sulla poesia, tra la misantropia trasandata della tradizione cinica e una malintesa concezione democriteo-platonica della poesia come entusiasmo, come furor divino (ars poet. 295 ss.):

ingenium misera quia fortunatius arte
credit et excludit sanos Helicone poetas
Democritus, bona pars non unguis ponere curat,
non barbam, secreta petit loca, balnea vitat...

Meglio di tutti ha interpretato questa posizione P. G. Walsh, che qui vale la pena di citare: Eumolpo sarebbe un "manic poetaster", "a deranged and all too facile versifier", e rappresenterebbe una caricatura del "lunatic littérateur of the Neronian age"[19] . Ma, come si vede anche dal pur rapido bilancio che abbiamo fin qui tentato a proposito della tessitura letteraria del personaggio, il procedimento petroniano appare ben più complicato, tanto complicato da porre ragionevolmente in dubbio formule critiche fortunate.

Possiamo oggi accontentarci davvero di definire tout court Eumolpo un personaggio satirico? O, in altri termini, è satirica la funzione che il personaggio svolge nella narrazione petroniana? La questione, come è facile vedere, ne coinvolge altre più generali, soprattutto quella, niente affatto nuova, e su cui non mancano utili contributi[20], di quanta satira ci sia nel Satyricon (con l'altro problema, immediatamente correlato, di quali siano le vie della comunicazione satirica in un'opera narrativa così complessa com'è il Satyricon). Per non dire che la soluzione di questi problemi è strettamente correlata alla posizione che si prende in uno dei più difficili problemi della critica petroniana: come valutare i due grandi poemi composti e recitati da Eumolpo e la premessa critico-letteraria al Bellum civile? che dire della loro qualità, dell'intenzione compositiva, dei referenti letterari, della funzione narrativa, dell'"autore" stesso cui vanno correttamente attribuiti (il personaggio Eumolpo, con funzione soprattutto caratterizzante, o quello che G. B. Conte chiama l'"autore nascosto"[21], che farebbe qui per una volta capolino a darci un saggio, per interposta persona, della sua vena poetica e della sua estetica letteraria). È del tutto evidente che non è possibile qui dare conto neanche delle principali risposte che sono state date a tante domande, né discutere anche solo sommariamente i principali punti dell'argomentazione (non mancano del resto nell'ampia letteratura critica sulla Troiae halosis e soprattutto sul Bellum civile delle rassegne critiche anche aggiornate cui si può utilmente ricorrere per una rapida informazione[22]).

Credo si possa partire da una nota di Arrowsmith, giustamente valorizzata da R. Beck[23]: i due poemi non sono né abbastanza brutti da poterli qualificare come parodia, né abbastanza belli da essere presi come modelli di composizione superiore. Dopo molte oscillazioni tra i due estremi compresi in questa doppia negazione, la critica petroniana oggi sembrerebbe quasi volersi attestare sulla ragionevolezza della via di mezzo: i due grandi poemi del Satyricon vengono sempre più spesso definiti poesia di medio livello. Questa valutazione risolve a prima vista molti dei problemi più spinosi. Da una parte infatti essa sembra escludere la plausibilità di un marchio autoriale (l'idea di chi vorrebbe così rappresentato, in teoria e in pratica, il punto di vista di Petronio nel dibattito contemporaneo sulla letteratura); dall'altra diventa molto meno stringente il bisogno di identificare uno specifico punto di riferimento, polemico o emulativo, nella letteratura contemporanea (l'annosa querelle sui rapporti con Seneca e Lucano). Si insiste perciò decisamente sull'idea (un'idea la cui fondamentale giustezza non può, a mio giudizio, essere messa in discussione) che ad Eumolpo, e più in generale ai personaggi del Satyricon, non deve essere tolto quel che loro appartiene, e che l'autore nascosto non può essere facilmente stanato secondo le preferenze di questo o quel critico (il quale tenderà inevitabilmente ad attribuire a Petronio quello che trova pregevole e ai personaggi quello che gli pare criticabile): la Troiae halosis e il Bellum civile dunque come esempio dell'arte petroniana della caratterizzazione, mediocri poesie per caratterizzare un poeta mediocre. Vedremo però che i problemi sono forse più accantonati che risolti veramente.

La valutazione "media" dei poemi di Eumolpo ha prima di tutto il difetto della precarietà. Una celebre sentenza di Orazio teorico della poesia sembra gravare come una maledizione sulla critica petroniana (ars poet. 372 ss.):

[...........................] mediocribus esse poetis
non homines, non di, non concessere columnae.

La poesia, nata per il diletto dell'animo,

si paulum summo decessit, vergit ad imum.

Ed è così che Eumolpo, appena ottenuto il riconoscimento della mediocrità, si trova inesorabilmente ricacciato verso una valutazione negativa: quei medesimi critici finiscono per parlare quasi esclusivamente dei suoi difetti di poeta, e la qualifica di mediocre può convivere con quella di poetastro, di "Ezra Pound di terz'ordine"[24], di rappresentante emblematico dei vizi stilistici di un'epoca e di un ambiente letterario.

Un problema forse più grave nasce dalla funzione caratterizzante riconosciuta ai poemi di Eumolpo. L'arbitrario coinvolgimento dell'autore in quello che dicono o fanno i suoi personaggi risulta così scongiurato. Ma siamo sicuri che l'autore resti sempre davvero indenne dalle presunte colpe delle sue creature? Mettiamo che l'autore voglia rappresentare un personaggio volgare, goffo, ignorante (nel Satyricon ciò accade solo parzialmente con Trimalcione): egli potrà allora dargli ampiamente la parola, potrà anche riempire delle pagine di volgarità e castronerie, senza restare affatto coinvolto in esse, e anzi rassicurando e divertendo il destinatario colto. Il meccanismo dell'ironia (che salva l'autore e trova il suo limite solo in se stesso, nella sazietà che alla lunga può suscitare) deve lavorare con gli estremi per assicurare fiduciosamente la propria visibilità. Prestare lungamente la voce alla mediocrità (che, come dice Orazio tende a precipitare verso il basso, ma non può certo alimentare un fuoco d'artificio di ironia), è una scelta strategica discutibile per chiunque, ma è quasi stupefacente per un maestro dei tempi narrativi quale Petronio ha sicuramente dimostrato di essere. Quell'intenzione mimetica che sarebbe ragionevole per brevi frammenti testuali, diventa davvero irragionevole quando si estende per ampie porzioni di testo (addirittura 18 pagine dell'edizione Müller nel caso del Bellum civile ). Tanto più che il problema non riguarda soltanto i poemi di Eumolpo, ma anche la sua ars poetica (c. 118), la sua tirata sulla decadenza delle arti (c. 88); le tirate di Encolpio e Agamennone sulla scuola (i capitoli iniziali), per ricordare soltanto i casi più vistosi.

Il problema, come è stato giustamente osservato[25], ha un significativo antecedente nelle satire oraziane del secondo libro (quelle in cui la parola satirica è gestita largamente da personae diverse dal poeta), ma si pone in termini più radicali, perché il lettore delle Satire dispone, in qualche misura, di segnali capaci di orientare la sua ricezione dei discorsi proposti dai cosiddetti doctores inepti secondo un punto di vista "corretto" (cioè in qualche modo garantito da un marchio autoriale)[26], mentre nel Satyricon questa possibilità è comunque esclusa dall'assenza nel romanzo di una voce che possa aspirare ad una vera credibilità: l'autore resta nascosto e il narratore Encolpio risulta largamente inaffidabile. Quando il satirico oraziano cede la parola a Damasippo per circa 310 vv. sui 326 della satira 2, 3 (e per circa 268 vv. continuativi) è certamente giusto rilevare la funzione caratterizzante di questa scelta: con la prolissità e il dogmatismo della sua predica Damasippo si rivela degno allievo di quei filosofi di strada che tante volte la satira oraziana mette in ridicolo. Eppure, neanche in questo caso si può dire davvero che il satirico non resti in qualche modo compromesso da quello che dicono i personaggi cui egli cede la scena. Cedere agli altri la parola satirica è infatti un modo (forse, in date condizioni, il solo modo) di continuare a fare satira: il poeta satirico non è completamente separabile dalle personae satiriche che egli mette in scena[27]. Per quello che riguarda Petronio, Eumolpo e gli altri personaggi del Satyricon, credo che questo tipo di ragionamento debba valere a fortiori.

Un'utile prospettiva si guadagna, io credo, a partire dalle analisi di uno studioso cui dobbiamo alcuni dei contributi più intelligenti sul Satyricon . In un articolo giustamente fortunato Roger Beck[28], sviluppando alcune intuizioni di P. A. George[29], sottolineava giustamente che una corretta valutazione del Bellum civile e della Troiae halosis può venire soltanto da una valutazione complessiva del personaggio di Eumolpo, che non si limiti alla sua poesia, ma esplori tutti i media espressivi di cui Eumolpo si avvale nel racconto petroniano. Poeta mediocre e votato all'insuccesso, Eumolpo è invece un raconteur di prima qualità, capace di catturare l'uditorio e di governarne le reazioni emotive. La Matrona di Efeso, il Fanciullo di Pergamo, ma anche il raccontino della avventura al bagno, sono esempi di un'arte di story-teller perfettamente coerente con il carattere del personaggio e la sua visione del mondo, padrona di un linguaggio asciutto, perfettamente funzionale ed efficace.

Credo anch'io che bisogna considerare Eumolpo nella sua complessità: il suo ruolo nel Satyricon è anzi ancora più articolato e vario della dicotomia paradossale sottolineata da Beck. Eumolpus poeta, Eumolpus fabulator, ma non è tutto. Non bisogna dimenticare Eumolpo critico letterario, retore e oratore, moralista e filosofo, Eumolpo giurista, Eumolpo educatore, Eumolpo regista di intrighi romanzeschi e di mascherate mimiche. Ricordo brevemente oltre all'ars poetica del c. 118 e al pezzo sulla decadenza delle scienze e delle arti del c. 88 (confrontabile tra l'altro con Seneca Retore, Seneca filosofo, Plinio il Vecchio, Ps.-Longino[30]), il trattato di pace per la guerra sulla nave al c. 109, l'arringa in difesa di Encolpio e Gitone, in contraddittorio con Lica (c. 107), le argomentazioni "epicuree" sui sogni e la provvidenza (c. 104 e forse frg. 30), per non dire del complessivo atteggiarsi a Socrate[31] e delle più o meno isolate sentenze che propongono scampoli vari di sapientia (c. 99, 1; 140, 14-15); e poi ancora quella specie di esercitazione retorico-narrativa improvvisata sulla nave di Lica appunto sotto la direzione del maestro Eumolpo, in cui tutti sono chiamati a immaginare un possibile iter salutis, che poi un altro si preoccupa di smontare e rivelare illusorio (insomma un vero e proprio laboratorio narrativo, una esplorazione di trame e sceneggiature possibili); e infine il progetto del mimo crotoniate, con il relativo copione e la distribuzione delle parti.

Già da questo sommario panorama si può vedere, io credo, che Eumolpo non è un personaggio come gli altri nel Satyricon, perché ha il privilegio di riunire in sé quelli che sono i tratti distintivi e le diverse matrici formative dell'opera petroniana. Un personaggio dunque con forti connotazioni metaletterarie, perché è capace di rispecchiare, nella propria forma, la forma stessa del testo. Capacità di raccontare storie divertenti, curiose, avventurose, ma anche di cambiare passo e medium espressivo, e affidare al discorso in versi un commento sentenzioso, una formulazione pregnante, uno scarto parodistico, o anche soltanto un ammiccamento culturale, un'esibizione di abilità. Poeta e fabulator è, come Eumolpo, anche il narratore del Satyricon .[32] Poesia e narrazione, o meglio narrazione e poesia sono i due elementi che si combinano in questo strano romanzo di forma menippea. Se è vero che tutti i personaggi del Satyricon sono "prosimetrici", Eumolpo, personaggio di romanzo dotato di senso dell'avventura e di genuina energia picaresca[33], narratore a sua volta di fatti personali e di novelle, ma anche poeta per vocazione e quasi per professione ( ego poeta sum), certamente lo è in maniera emblematica.

Osservava R. Beck[34] che lo stile narrativo di Eumolpo somiglia notevolmente (nel tono disincantato e nell'asciuttezza espressiva) a quello del narratore del Satyricon: e appunto in questa scarsa riconoscibilità sarebbe da cercare la causa della disattenzione quasi generale alle qualità (e alla caratterizzazione) di Eumolpo come fabulator. Per quello che riguarda la poesia di Eumolpo, io credo, quasi all'inverso, che abbia nuociuto un'attenzione concentrata quasi esclusivamente sui grandi poemi. Per essere valutata, la poesia di Eumolpo (tutta la poesia di Eumolpo, non soltanto il Bellum civile e la Troiae halosis) ha diritto di essere confrontata con la restante poesia del Satyricon. Credo che una spassionata lettura porterebbe a un'impressione di sostanziale omogeneità, pur nella varietà dei "generi" poetici e degli stili: poesia di buona fattura, a volte pregevole, degna comunque della clemenza di un escerptore severo, e dell'attenzione di un antologizzatore. Il problema della poesia di Eumolpo e quello della poesia del Satyricon sono in fondo lo stesso problema.

Il riferimento alla tradizione menippea, per quanto riguarda la forma prosimetrica, è un dato quasi scontato nella critica petroniana, così come negli studi generali sulla satira menippea[35] . E anch'io ritengo che quella tradizione abbia avuto un ruolo importante (come stimolo e come autorizzazione) per una operazione letteraria tanto innovativa e difficilmente classificabile come è sicuramente il Satyricon [36]. Penso tuttavia che la menippea (meglio però sarebbe dire l'idea che ci facciamo della menippea) possa esercitare suggestioni anche fuorvianti per l'interpretazione del prosimetro petroniano. Alla luce di questa tradizione, la mescolanza di prosa e poesia finisce quasi inevitabilmente per essere percepita come una violazione eclatante delle regole e delle convenzioni espressive consolidate: un atto di sovversivismo formale perfettamente corrispondente al sovversivismo ideologico della tradizione cinica - l'intenzione anticonformista e demistificatrice di chi si compiace di rovesciare opinioni, pregiudizi, mitologie. In questa prospettiva "menippea" l'ibridazione formale avrebbe la funzione di sottoporre il testo a una costante tensione. Per usare una famosa immagine di Luciano (Bis accusatus 33), trovandosi di fronte un centauro biforme, il lettore (il lettore che il testo presuppone) resterebbe continuamente sotto choc, sconcertato da una krâsis parádoxos che non finisce di sorprenderlo (e di tenerlo all'erta). L'inserto poetico colpirebbe con la sua estraneità al contesto prosastico, innescando generalmente una aspettativa di tipo parodistico[37]: la poesia (in genere poesia alta) ospitata dalla prosa per conoscere la propria degradazione ed essere messa al servizio della risata beffarda. "La menippea - utilizzo qui alla lettera alcune riflessioni di G. B. Conte - cita la poesia solo per contagiarla, per dissacrarla, solo per segnalare quanto sia assurdo parlare in poesia".

In Petronio solo episodicamente è rilevabile questo tipo di scarto. Non è certamente questo l'uso normale della poesia nel Satyricon. Spesso tra poesia e prosa non c'è tensione apprezzabile, e comunque non c'è tensione sufficiente per imporre alla poesia una intonazione comunque parodistica. Si direbbe anzi che tra i due media espressivi si instauri il più delle volte una pacifica convivenza, che il passaggio dall'uno all'altro avvenga quasi con naturalezza. Il narratore (o uno dei personaggi) può commentare una situazione o riassumere il senso di una sequenza o anche continuare la narrazione stessa in versi così come avrebbe potuto farlo in prosa.

Uno degli aspetti più originali e interessanti del Satyricon (e anche uno dei meglio indagati) è il fitto intreccio di modelli letterari illustri continuamente percepibile nella filigrana della narrazione[38]. Le vicende poco esaltanti di poco eroici personaggi sono raccontate (e ancor prima vissute dagli stessi protagonisti, a cominciare dal narratore, Encolpio) come proiezioni di grandi fantasmi del mito e della letteratura. Il divario ironico tra la dignità, a volte l'altezza sublime di queste evocazioni, e la modestia, spesso la meschinità dei fatti e dei personaggi in cui si trovano reincarnati fa percepire al tempo stesso la bellezza di un passato irrecuperabile e la continua disillusione di chiunque s'illuda di poterlo rivivere nella propria povera vita[39]. Ora i grandi modelli e i grandi personaggi della letteratura sono soprattutto poetici (Encolpio si sentirà Ulisse, o Achille, o Enea e così via) e gli inserti poetici sarebbero certo stati il luogo ideale di queste reincarnazioni, solo che Petronio avesse voluto dare ad essi una intonazione decisamente parodistica, facendone delle "impennate" verso le alte memorie della letteratura. E' impressionante, io credo, con quanta moderazione, direi anzi con quanta parsimonia, Petronio abbia seguito questa strada [40].

Ma se non può dirsi semplicemente parodistica la funzione che gli inserti poetici generalmente svolgono nel Satyricon (anche se ovviamente l'intonazione parodistica può essere più o meno rilevante in singoli casi), bisogna allora chiedersi qual è l'idea della poesia che risulta dalla scelta formale petroniana (il prosimetro) e dalla sua concreta realizzazione testuale. Bisogna anzitutto dire che la poesia di Petronio è un medium espressivo capace di una notevole varietà tematica, metrica e stilistica. Se infatti, come dicevamo, la poesia petroniana non è altro che "la continuazione della prosa con altri mezzi" (Conte), essa deve essere per ciò stesso in grado di dar espressione alle diverse situazioni di un ampio e variegato testo narrativo, e di dare voce credibile ai suoi vari personaggi. La poesia petroniana non nasce dunque da scelte, non si chiude in un genere o in un codice: può assumere il ritmo dell'esametro o del distico, del senario o del falecio, dell'anacreontico o del sotadeo; può parlare il linguaggio dell'epos o della tragedia, o cercare piuttosto una sentenziosità elegiaca, o l'acutezza dell'epigramma; può ricalcare le movenze dell'argomentazione didascalica, o piuttosto assumere i modi più dimessi del sermo. Il poeta petroniano è uno capace di produrre versi con fluidità e naturalezza, versi adatti a ogni occasione tematica, versi di apprezzabile fattura "professionistica". Ma il Satyricon ci mostra anche una poesia che, se è diventata "pervasiva", se è capace di presentarsi e farsi largo in ogni momento e in ogni luogo, ha perso al tempo stesso il proprio spazio esclusivo, non rivendica più un ruolo autonomo, ma è come rassegnata a una condizione di ubiqua marginalità: ironico paradosso di un'epoca in cui la poesia conquistava clamorosamente la ribalta dell'ufficialità e addittura assurgeva al soglio dell'imperatore[41].

Io credo che questa concezione dignitosa ma non "primaria" della poesia affondi le sue radici non semplicemente nel prosimetro menippeo (anche se singole esperienze 'menippee' possono aver svolto un ruolo significativo)[42], quanto piuttosto in un terreno assai più vasto, che trova la sua massima espressione in una tradizione culturale assai ricca, ma che per comodità definirei "della scuola"[43]. Una tradizione che parte dall'ampio uso della poesia come esercizio e come repertorio di esempi, utili all'apprendimento e alla trasmissione del sapere. Una tradizione che parte da lontano, ma che conosce nella cultura tardo-repubblicana e poi dell'età imperiale uno sviluppo davvero straordinario. Si tratta, mi rendo conto, di una materia vasta e notevolmente variegata, che andrebbe studiata con la necessaria attenzione alle differenze. Eppure ho l'impressione che (faccio soltanto qualche esempio a caso) il lettore dei dialoghi filosofici di Cicerone, o il lettore di Seneca retore, per non dire di quella produzione erudita e divulgativa rappresentata a Roma da Gellio e poi da Macrobio, sia come abituato a una prosa le cui pagine siano qua e là cosparse (in certe zone anche fittamente cosparse) di inserzioni poetiche: citazioni dagli autori che esemplificano in maniera autorevole e memorabile quello che si vuole illustrare. In particolare, la scuola di retorica sembra aver alimentato l'idea che i versi sono un altro modo di dire ciò che dicono gli uomini educati all'eloquenza. Già Ovidio, rivolgendosi all'amico retore Salano, sottolineava la contiguità tra poesia e retorica[44], e Seneca retore a più riprese mette a confronto il modo in cui un'idea o una sententia era stato espressa dai declamatori oppure, in versi, da qualche poeta[45]; oppure ricorda che la descriptio Oceani di Albinovano Pedone aveva superato quella dei Latini declamatores, o che Cornelio Severo aveva deplorato la morte di Cicerone meglio di tanti disertissimi viri[46] .

Paradossalmente, tocca proprio al personaggio del Satyricon che si presenta votato quasi maniacalmente alle ragioni della poesia il compito di rappresentare per emblema l'idea petroniana della "ubiqua marginalità" della poesia stessa. Eumolpo sa infatti rappresentare una poesia dalle voci più svariate (egli può cimentarsi senza troppo sforzo in un campionario assai vasto di generi e stili: epos, tragedia, satira, poesia scientifica, poesia "satirico-moralistica", poesia giambica, epigramma), una poesia che è sempre pronta a presentarsi e cercare ascolto: ma anche una poesia che ha perso un suo luogo sociale, un suo pubblico, un suo ruolo autonomo, e anche buona parte delle sue ambizioni. Le sassate che accolgono il poeta non sono la reazione alla qualità delle sue esibizioni: non sono riservate al cattivo poeta bensì alla poesia in sé. Il testo sottolinea ironicamente proprio la "normalità" di questa reazione. Eumolpo è il primo a mostrarsene consapevole (accettare le sassate è per lui tutt'uno con l'accettare la vocazione di poeta), e il suo compagno di strada Encolpio (che pure non mostra di disapprovare la qualità della sua poesia) non fa nessuna fatica ad abituarsi all'idea:

90, 1-5 ex is, qui in porticibus spatiabantur, lapides in Eumolpum recitantem miserunt. at ille, qui plausum ingenii sui noverat, operuit caput extraque templum profugit. timui ego ne me †poetam vocaret†. itaque subsecutus fugientem ad litus perveni, et ut primum extra teli coniectum licuit consistere, 'rogo' inquam 'quid tibi vis cum isto morbo? minus quam duabus horis mecum moraris, et saepius poetice quam humane locutus es. itaque non miror, si te populus lapidibus persequitur. ego quoque sinum meum saxis onerabo, ut quotiescumque coeperis a te exire, sanguinem tibi a capite mittam'. movit ille vultum et 'o mi' inquit 'adulescens, non hodie primum auspicatus sum. immo quotiens theatrum, ut recitarem aliquid, intravi, hac me adventicia excipere frequentia solet.
93, 3 'hoc est' inquam 'quod promiseras, ne quem hodie versum faceres? per fidem, saltem nobis parce, qui te numquam lapidavimus. nam si aliquis ex is, qui in eodem synoecio potant, nomen poetae olfecerit, totam concitabit viciniam et nos omnes sub eadem causa obruet.

Poeta per vocazione, Eumolpo finisce tuttavia per essere anche, direi anzi soprattutto, uomo della "prosa". Non è forse un caso che negli esametri del suo proemio, quando presenta la sua difficile scelta di vita (ego poeta sum...), Eumolpo chiami a rappresentarlo per metonimia la più 'prosastica' fra le doti di un poeta:

sola pruinosis horret facundia pannis

Non è forse un caso che l'unico scalcinato estimatore della sua poesia, il semibarbaro procurator insulae Bargates, lo apostrofi con un o poetarum...disertissime, tu eras? che sembra giocare con l'epigramma di Catullo a Cicerone (c. 49). Ma Eumolpo è uomo della prosa non solo per le sue capacità e inclinazioni declamatorie, non solo per le sue doti di affabulatore e di narratore, ma forse ancor più per il suo carattere di personaggio romanzesco, capace di muoversi agilmente nell'ambientazione quotidiana di una storia "realistica". Queste caratteristiche sono tanto più significative in quanto segnano una sensibile divergenza da quel modello oraziano del poeta vesanus in cui Eumolpo trova, come abbiamo visto, una delle sue matrici meglio riconoscibili. Il poeta vesanus è tutto rapito dai voli del suo poco probabile ingegno: assolutamente privo di spirito pratico, vive con la testa tra le nuvole, e se c'è una buca nel suo cammino, finirà certo per cadervi dentro (ars poet. 457 ss. hic, dum sublimis versus ructatur et errat,/ si veluti merulis intentus decidit auceps/ in puteum foveamve...). Il personaggio di Eumolpo è invece fatto per stupirci: questo intellettuale ispirato dimostra invidiabile spirito pratico, una indomabile energia, persino una "fisicità" adeguata alle più difficili circostanze. Se un oste diventa arrogante, l'uomo di lettere si mostrerà capace di menare le mani, e gli basterà un candelabro per tenere a bada tutto un albergo scatenato contro di lui. Dall'episodio della nave in avanti si dimostrerà l'uomo dei momenti difficili: sangue freddo, prontezza, concretezza, inventiva, spirito d'iniziativa, gusto per l'avventura, genialità picaresca. Il più genuino interprete, insomma, di quella istanza narrativa che iscrive comunque il Satyricon nel genere del romanzo.

Eumolpo è insomma un ottimo esempio di quella che si può chiamare la strategia petroniana del paradosso. Un prosimetro in cui la grandezza della poesia (con le sue memorie e i suoi fantasmi sublimi) si trova ad abitare nella quotidianità della prosa ed infiammare di illusioni i suoi prosastici protagonisti, mentre l'unico poeta vero e proprio, forse anche perché capace di esercitare la poesia nei suoi limiti "professionistici", saprà rivelarsi l'interprete giusto, e quasi il figlio prediletto, di un mondo che prende a sassate la poesia.

[*] Questo contributo sarà pubblicato in «MD. Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici».

[1] 90, 1 ex his, qui in porticibus spatiabantur, lapides in Eumolpum recitantem miserunt.

[2] 92, 6 nam et dum lavor...paene vapulavi quia conatus sum circa solium sedentibus carmen recitare, et postquam de balneo tamquam de theatro eiectus sum.

[3] 92, 8 et me quidem pueri tamquam insanum imitatione petulantissima deriserunt.

[4] 90, 2 timui ego ne me <quoque> poetam vocarent (sul testo, cfr. «MD» 1993, 3 nam si aliquis ex his qui in eodem synoecio potant, nomen poetae olfecerit, totam concitabit viciniam et nos omnes sub eadem causam obruet)

[5] A. La Penna, L'intellettuale emarginato da Orazio a Petronio , in AA.VV, Il comportamento dell'intellettuale nella società antica, Genova 1980, pp. 67-91; Id., L'intellettuale emarginato nell'antichità, «Maia» n. s. 42, 1990, pp. 3-20.

[6] Il contrasto tra la severa moralità delle parole e una condotta spregiudicata o addirittura scandalosa è un tema prediletto della tradizione satirica, sempre diffidente nei confronti di ogni affettato rigorismo. Gli esempi più famosi sono la satira II di Giovenale, contro quelli che Curios simulant et Bacchanalia vivunt (cfr. Courtney pp. 120 ss.) e alcuni epigrammi di Marziale (vd. Citroni a Mart. 1, 24). Già la commedia e l'epigramma scommatico greco avevano variamente bersagliato l'ipocrisia dei filosofi (vd. F. J. Brecht, Motiv- und Typengeschichte des griechischen Spottepigramms, «Philologus» Suppl. 22, Heft 2, Leipzig 1930, p. 18 ss. e Citroni l. c.), e la polemica è di quelle che la tradizione menippea consegnerà alla seconda sofistica (cfr. R. Helm, Lucian und Menipp, Leipzig-Berlin 1906, pp. 40 ss; 371 ss.; J. Bompaire, Lucien écrivain, Paris 1958, pp. 485 ss.). Nel caso di Eumolpo, il motivo emerge vistosamente nell'esordio della novella dell'efebo di Pergamo (85, 2 quotienscumque enim in convivio de usu formosorum mentio facta est, tam vehementer excandui, tam severa tristitia violari aures meas obsceno sermone nolui, ut me mater praecipue tamquam unum ex philosophis intueretur.), dove la scelta del rectum vitae iter rivendicata da Eumolpo rivela tutta la sua inconsistenza e la sua superficialità: quello che però distingue anche qui Eumolpo dalla tradizione sopra ricordata è che è lui stesso a smascherare la contraddizione parole/vita che contraddistingue il suo personaggio. L'ipocrisia è presentata dalla voce narrante come un sagace espediente capace di risolvere brillantemente una situazione esistenziale: più che un giudizio moralistico, (con la conseguente aggressività comica dello smascheramento) è l'astuzia della trovata che viene proposta alla nostra ammirazione.

[7] Sul problema del patronato e del mecenatismo nella prima età imperiale molto si è lavorato in questi ultimi venti anni (soprattutto ad opera di P. White e R. P. Saller): cfr., anche le le opportune indicazioni bibliografiche, M. Citroni, Produzione letteraria e forme del potere. Gli scrittori latini del I secolo dell'impero , in A. Schiavone (ed.) Storia di Roma, II, 3, La cultura e l'impero, Torino 1992, soprattutto p. 440 e n. 50.

[8] Vd. M. Citroni, Gli interlocutori del sermo oraziano: gioco scenico e destinazione del testo, in Atti del convegno nazionale di studi su Orazio. Torino 13-14-15 aprile 1992, Torino 1993, pp. 95-127.

[9] Molti materiali interessanti già in A. Collignon, Étude sur Pétrone, Paris 1892, pp. 253 s.; vd. anche E. Paratore, Il Satyricon di Petronio, parte II, Firenze 1933, p. 286 n. F. M. Fröhlke, Petron. Struktur und Wirklichkeit. Bausteine zu einer Poetik des antiken Romans, Franfurt-Bern 1977, p. 57; A. La Penna, L'intellettuale emarginato da Orazio a Petronio cit., pp. 76 ss.; Grazia Sommariva, Eumolpo, un 'Socrate epicureo' nel Satyricon, «ASNSPi», Cl. di lett. e fil., s. III, 14, 1984, pp. 25-58 (in part. p. 33 n. 25).

[10] P. Walsh, The Roman Novel. The 'Satyricon' of Petronius and the "Metamorphoses" of Apuleius, Cambridge 1970, p. 94.

[11] Cfr. Lucil. 1334-36. M. (=1350-52 K.) hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum,/ contra defensorem hominum morumque bonorum,/ hos magni facere, his bene velle, his vivere amicum...

[12] Cic. de fin. 4, 7.

[13] Cfr. ad es. Hor. serm. 2, 3, 158 ss. quisnam igitur sanus? qui non stultus. Quid avarus?/ Stultus et insanus. Quid, siquis non sit avarus,/ continuo sanus? Minime. Cur, Stoice? Dicam. ; o anche Pers. 1, 2 ss.'quis leget haec?' min tu istud ais? nemo hercule. 'nemo?'/ vel duo vel nemo. 'turpe et miserabile.' quare?...

[14] M. Loporcaro, Il proemio di Eumolpo. Petronio, Satyricon 83, 10, «Maia» n. s. 36, 1984, pp. 255-261.

[15] 1, 4, 36 ss. quodcumque semel chartis illeverit omnis/ gestiet a furno redeuntis scire lacuque/ et pueros et anus.

[16] Cfr. ad es. serm. 1, 4, 9 s.; 14 ss.; 1, 10, 60 ss.

[17] Più che a una vera e propria improvvisazione, impetus vuole forse far pensare al primo rapido abbozzo di una composizione capace di laboriosità: come poeta dell'epos, Eumolpo rivendica l'eredità di almeno due grandi predecessori (Virgilio ed Ovidio), autori di un poema mancante dell'"ultima mano" (118, 6 tamquam, si placet hic impetus, etiam si nondum recepit ultimam manum): cfr. M. Coffey, Roman Satire, London 1976, pp. 192 ss. e R. Beck, Eumolpus poeta, Eumolpus fabulator: a Study of Characterization in the Satyricon, «Phoenix» 33, 1979, 239-253, in part. p. 244 n. 20 La tradizione biografica fissava del resto l'immagine di un Virgilio in cui la composizione di getto si associava a una paziente rifinitura ursae more: in particolare l'aspetto più vistoso dell'incompiutezza formale dell'Eneide veniva ricondotto all'esigenza di non frenare l'impetus dell'ispirazione (vita Don. 85 ss. ne quid impetum moraretur, quaedam imperfecta transmisit, alia levissimis versibus veluti fulsit, quae per iocum pro tibicinibus interponi aiebat ad sustinendum opus, donec solidae columnae advenirent).

[18] Cfr. P. George, Petronius and Lucan De Bello Civili, «CQ» n. s. 24, 1974, p. 121; R. Beck, Eumolpus poeta, Eumolpus fabulator cit. p. 243 n. 17; A. La Penna, L'Anrede nell'ars poetica di Eumolpo (Petronio 118, 2), «SIFC» s.III, 6, 1988, pp. 259-261.

[19] P. Walsh, Eumolpus, the Halosis Troiae, and the De Bello Civili, «Class. Phil.» 63, 1968, pp. 208-12 (le citazioni sono tratte rispettivamente da p. 209, 212 e 210; cfr. anche The Roman Novel cit. pp. 41 e 94 ss.

[20] Indicazioni bibliografiche in R. Beck, The Satyricon: Satire, Narrator, and Antecedents, «Mus. Helv.» 39, 1982, pp. 206-214.

[21] L'amicizia dell'autore mi ha permesso di profittare in anteprima (come si vedrà anche dalle pagine a seguire) della lettura di un testo provvisorio delle "Sather Lectures" petroniane che Conte ha tenuto a Berkeley nel febbraio-marzo 1995: gliene sono particolarmente grato.

[22] Vd. soprattutto A. F. Sochatoff, The Purpose of Petronius' Bellum civile: A Re-examination, «TAPhA» 93, 1962, pp. 449-458; J. P. Sullivan, The Satyricon of Petronius: A Literary Study, London 1968, pp. 165-89 (trad. it. Firenze 1977, pp.160-185); P. Soverini, Il problema delle teorie retoriche e poetiche di Petronio, in ANRW II 32, 3, 1985, soprattutto pp. 1746-1763.

[23] The Satyricon of Petronius, transl. by W. Arrowsmith, Ann Arbor 1959, pp. 208-210; R. Beck, Eumolpus poeta, Eumolpus fabulator cit. p. 241

[24] W. Arrowsmith cit. alla n. 23

[25] R. Beck, The Satyricon: Satire, Narrator, and Antecedents cit. p. 207.

[26] Cfr. W. S. Anderson, The Roman Socrates: Horace and his Satires, in Critical Essays on Roman Literature, II: Satire, ed. by J. P. Sullivan, London 1963, pp. 1-37 (= Essays on Roman Satire, Princeton 1982, pp. 13-49).

[27] Cfr. M. Labate, La satira di Orazio: morfologia di un genere irrequieto, introduzione a Orazio: Satire, a cura di M. L., Milano 1981, pp. 5-44 (in part. pp. 25 ss.). Sull'argomento sono tornato con una comunicazione intitolata Il sermo oraziano e i generi letterari, tenuta nel simposio "Horaz, Freund des Abendlandes" svoltosi a Tübingen dal 6 al 9 ottobre 1993, i cui atti sono in corso di pubblicazione.

[28] R. Beck, Eumolpus poeta, Eumolpus fabulator cit.

[29] P. A. George, Style and Character in the Satyricon, «Arion» 5, 1966, pp. 336-358 (in part. pp. 346 ss.).

[30] Cfr. F. M. Fröhlke, Petron. Struktur und Wirklichkeit cit. pp. 61 ss.

[31] Cfr. G. Sommariva, art. cit. alla n. 9; Rosalba Dimundo, Da Socrate a Eumolpo. Degradazione dei personaggi e delle funzioni nella novella del fanciullo di Pergamo, «MD» 10-11, 1983, pp. 255-265.

[32] Un cenno in questa direzione in G. Sommariva , art. cit. p. 51 e n. 54.

[33] N. Terzaghi, Eumolpo e Peregrino, in Studi in onore di G. Funaioli, Roma 1955, pp. 426-433, ipotizzava una fonte comune a Petronio e Luciano da cui sarebbe tratta l'spirazione per la caratterizzazione di Eumolpo come avventuriero imbroglione: resta valida l'intuizione che sottolinea i tratti picareschi del personaggio di Eumolpo. Questo aspetto è messo bene in luce da A. La Penna, L'intellettuale emarginato da Orazio a Petronio cit., pp. 78 ss.

[34] Eumolpus poeta, Eumolpus fabulator cit. p. 245.

[35] Gli ultimi anni ci hanno regalato (sulla scia delle teorizzazioni di N. Frye e soprattutto di M. Bachtin) una vera e propria fioritura di studi sulla tradizione della menippea e sulla "menippea" come atteggiamento intellettuale e categoria letteraria. Ricordo soltanto alcuni contributi più recenti, da cui si possono facilmente ricavare i termini del dibattito critico e anche più esaurienti indicazioni bibliografiche: D. Bartonková, Prosimetrum, the Mixed Style, in Ancient Literature , «Eirene» 14, 1976, pp. 65-92; H. K. Riikonen, Menippean Satire as a Literary Genre,, «Commentationes Humanarum Litterarum» 83, Helsinki 1987; G. O'Daly, The Poetry of Boethius, London, 1991, soprattutto pp. 14-29; J. C. Relihan, Ancient Menippean Satire, Baltimore and London 1993.

[36] Non mi sentirei tuttavia di privilegiare la componente menippea fino a condividere la formula di J. Adamietz, Zum literarischen Charakter von Petrons Satyrica, «Rhein. Mus.» 130, 1987, pp. 329-346, che finisce per mortificare la centralità dell'istanza narrativa nell'opera petroniana, proponendo di invertire il rapporto comunemente istituito tra le due principali matrici formative del Satyricon , che sarebbe piuttosto da classificare come una satira menippea con elementi di romanzo, o meglio una serie di satire menippee 'ricucite' dal filo di un'azione continuata: vd. in part. pp. 345-346.

[37] Su questa idea della funzione degli inserti poetici (ritagliata soprattutto sull'uso di Luciano) insisteva già R. Helm nel suo influente Lucian und Menipp cit. p. 343 (sulla citazione in Luciano è utile M. Fusillo, La citazione menippea (sondaggi su Luciano), in A. De Vivo-L. Spina (a cura di), 'Come dice il poeta...' Percorsi greci e latini di parole poetiche, Napoli 1992, pp. 21-42: cfr. anche W. v. Koppenfels, Mundus alter et idem. Utopiefiktion und menippeische Satire, «Poetica» 13, 1981, in part. p. 26.; H. K. Riikonen, op. cit., pp. 11 s.; e soprattutto J. C. Relihan, op. cit., pp. 18-19.

[38] Dopo il lavoro germinale di A. Collignon (cit. alla n. 9), questo tema è stato ripreso sistematicamente da E. Courtney, Parody and Literary Allusion in Menippean Satire, «Philologus» 106, 1962, pp. 86-100, e P. Walsh, The Roman Novel cit., soprattutto pp. 32-66: si può dire comunque che questo interesse sia oggi in primo piano in molti contributi sul Satyricon, sia di carattere critico-testuale che critico-letterario.

[39] Cfr. R. Beck, The Satyricon: Satire, Narrator, and Antecedents cit., pp. 208 s.

[40] I casi più significativi in questa direzione sembrano addensarsi nell'episodio crotoniate: i vv. di 127, 8, dove il prato fiorito che ospita l'abbraccio di Circe e Polieno assomiglia illusoriamente al miracoloso scenario dell'"inganno di Era" (Hom. Il. 14, 346 ss.) ed è invece destinato ad assistere, come il meno nobile prato dell'epodo di Colonia, a un episodio erotico ben poco gratificante (Arch. 196a W., 28 ss.: sulla "mediazione" archilochea mi ha fatto riflettere l'amico Mario Martina); i vv. di 136, 6, in cui la vendetta di Encolpio sull'oca è epicamente paragonata alla lotta di Ercole con le Arpie; i vv. di 139, 2, in cui Encolpio paragona il suo destino a quello di una serie di eroi perseguitati che comincia con Ercole e finisce con Ulisse.

[41] Oltre a E. Cizek, L'époque de Néron et ses controverses idéologiques, Leiden 1972, vd. M. Morford, Nero's Patronage and Participation in Literature and the Arts, ANRW II 32, 3, 1985, pp. 2003-20031 e J.-P. Néraudau, Néron et le nouveau chant de Troie, ibid., pp. 2032-2045.

[42] In particolare, lo sperimentalismo di Varrone (per una utile messa a punto vd. L. Alfonsi, Le 'Menippee' di Varrone, in ANRW I 3, 1973, pp. 26-59) può avere certo incoraggiato un'idea di prosimetro in cui l'inserto poetico avesse una funzione più complessa e articolata della semplice ricerca di scarti parodici: ma il naufragio dei contesti impone prudenza estrema nel valutare la pratica varroniana. Si ha comunque l'impressione che, in Varrone, il cospicuo 'investimento' letterario nella versificazione conferisca alla componente poetica un carattere tutto particolare all'interno della tradizione menippea (cfr. Alfonsi, art. cit., p. 32) e finisca per rivendicare alla poesia un ruolo quasi 'protagonistico' che va ben al di là del 'deuteragonismo' petroniano.

[43] Questa tradizione culturale è distinta dalla menippea, ma non è incompatibile con essa, se è vero che l'affermarsi di istanze 'serie' (retoriche, didascaliche, perfino enciclopediche) darà luogo a una rifondazione del prosimetro in età tardo-antica: cfr. soprattutto (oltre la bibliografia citata alla n. 35, D. Bartonková, Prosimetrum, the Combined Style, in Boethius' Work De consolatione philosophiae, «GLO» 5, 1973, pp. 61-69; J. Gruber, Kommentar zu Boethius De consolatione philosophiae, Berlin-New York 1978, pp. 16 ss; Id., Einflüsse verschiedener Literaturgattungen auf die prosimetrischen Werken der Spätantike , «Würz. Jahrbb. für die Altertumswiss.» N. F. 7, 1981, pp. 209-221; Danuta Shanzer, A Philosophical and Literary Commentary on Martianus Capella's De Nuptiis Philologiae et Mercurii, Book I, Berkeley 1986, pp. 30 ss.

[44] Ex P. 2, 5, 65 ss. Distat opus nostrum, sed fontibus exit ab isdem/ artis et ingenuae cultor uterque sumus./Thyrsus abest a te gustata et laurea nobis,/ sed tamen ambobus debet inesse calor,/ utque meis numeris tua dat facundia neruos,/sic uenit a nobis in tua uerba nitor./ Iure igitur studio confinia carmina uestro/ et commilitii sacra tuenda putas: sulla storia di questo motivo cfr. P. Ov. Nas. Epist. ex Ponto l. II, a cura di L. Galasso, in corso di stampa, ad l .

[45] Cfr. ad es. contr. 3, 7; 7, 3, 8; 10, 4, 25; suas. 2, 19-20; 3, 4-7.

[46] Suas. 1, 15; 6, 25.


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Last technical revision December, 15, 1995.

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