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Arachnion n. 2.1, May 1996


Legionari Bagienni in età triumvirale [*]



di GIOVANNI MENNELLA (Genova)


Sparsi per saxa Bagenni
(Sil. Ital., VIII, 605)

Sommario



1. Il territorio dei Bagienni e le "pietre fluviali"

Tra i supporti epigrafici più caratteristici e diffusi nella Cisalpina sud-occidentale, un posto d'onore spetta senz'altro alle cosiddette "pietre fluviali": macigni di origine metamorfica e più o meno grossi, ma sovente tanto pesanti da essere intrasportabili, che si staccano dalle rocce alpine per effetto dell'azione erosiva dei ghiacciai e rotolano a valle, in balìa della miriade di fiumi e torrenti di cui la regione è ricca [1]. Le millenarie mutazioni degli alvei hanno finito col disseminare questi "mega-ciottoloni" un po' dovunque nelle campagne ma, per il loro particolare regime idrico, ne hanno ricevuto di più soprattutto le aree del pedemonte romano che a nord del Po furono occupate dalla tribù dei Taurini e, a sud, da quella dei Bagienni [2]: in entrambe, le pietre fluviali vennero ampiamente utilizzate come segnacoli per sepolture e accolsero dediche per lo più limitate alla sola onomastica del defunto, senza altri interventi estetici o testuali [3].
La natura indubbiamente povera di queste pietre, la loro comune provenienza dall'aperta campagna e i formulari onomastici delle loro dediche, spesso estranei alla canonica struttura dei tria nomina e ricchi, invece, di forme celto-liguri poco o per nulla romanizzate, hanno fatto pensare a un ambiente prevalentemente indigeno che abitava e coltivava la campagna. Continua però a rappresentare un enigma l'arco temporale del loro utilizzo, per il quale, mancando in questo caso gli abituali parametri di valutazione epigrafica, ed essendo per giunta ancora mal note le fasi della romanizzazione del territorio e scarse le informazioni dell'archeologia, i dati disponibili risultano frammentari e si prestano ad ambigue valutazioni soggettive. Così, per esempio, in assenza di più concrete certezze fornite dagli scavi, alle pietre fluviali affiorate nell'area taurinense che nel quinto volume del CIL figura sotto il capitolo Inter Durias duas, si è attribuita una convenzionale e generica aetas aut Augusta aut extremae rei publicae liberae in presenza di nomi epicori ancora poco o male adattati nello schema trimembre romano, e si è data per scontata una scala cronologica recenziore man mano che gli indizi della loro normalizzazione diventano significativi e, infine, preponderanti [4].
Per ovvia analogia l'identico criterio è estendibile alle pietre fluviali trovate a sud del Po, ma in entrambi i casi è evidente il rischio metodologico di riporre un'incondizionata fiducia in schematizzazioni astratte e soprattutto avulse dal contesto documentario, benché apparentemente persuasive nella loro logica consequenzialità. Le riserve di fondo, però, non implicano che si debbano per forza accantonare le indicazioni fornite dall'analisi dei formulari onomastici, ma consigliano di valutarle con maggiore cautela, e comunque senza annettere un valore assoluto e sistematico a un tipo di informazioni che meglio soccorre in presenza di altri elementi contenutistici di confronto, se e quando il corredo di scavo manca o è poco orientativo nell'esegesi di testi già di per sé estremamente laconici.


2. Il nuovo testo: un legionario ligure nell'esercito di Marco Antonio

Immagine della pietra fluvialeA siffatto metro di verifica si presta una nuova pietra fluviale di gneiss che si conserva a Piozzo (Cn), un piccolo centro abitato il cui insediamento in epoca romana rientrava sotto l'amministrazione di Augusta Bagiennorum. Fu trovata nel 1968 in località Roverde, e dopo essere stata riutilizzata come scalino nell'abitazione della fattoria attigua, ora è infissa a fianco dell'antistante cappelletta di S. Bartolomeo [5]; in affioramento misura cm 60 x 37,5 x 31 e reca lettere di cm 4,5-5,5, rozzamente incise e separate da interpunzioni tonde, con la dedica seguente:
C(aius) Nevvius (!) / C(ai) (filius) V(o)l(tinia tribu) Asus, / leg(ionis) IIII.
È il conciso epitafio di uno dei non pochi legionari tornati a casa dopo il congedo, e attestati un po' dappertutto anche nelle campagne liguri. Il formulario onomastico coi tria nomina sottintende un processo di romanizzazione già ben avviato ma non ancora compiuto, col nome Nevius che qui è scritto con la semivocale geminata, e che è un ibrido latino-celtico piuttosto diffuso come idionimo fra la popolazione indigena; assai raro è invece il cognome Asus, anch'esso di matrice celtica [6], preceduto dalla sigla biletterale della tribù Voltinia [7]. Nell'insieme, dunque, si tratta di un'onomastica sufficientemente indicativa di una cronologia ancora abbastanza alta, e con buona verosimiglianza non eccedente l'età augustea. Vediamo, adesso, se la qualifica di legionario è in grado di confermarla e, magari, aiuta a definirla meglio.
Un primo indizio importante è la numerazione della legione, la Quarta: in ordine di tempo la portarono ben sette unità, ma nel caso presente è discriminante l'assenza del soprannome, perché l'uso di contraddistinguere le legioni col semplice numerale si mantenne fino all'età tardo-repubblicana [8], quando l'unica quarta legione operativa ed epigraficamente documentata risulta quella che venne costituita forse ancora da Cesare nel 47, prima di diventare una formazione di punta nell'esercito di Ottaviano e di partecipare, fra l'altro, alla battaglia di Filippi [9]. Nella stessa epoca, però, un'altra legione Quarta militante nell'esercito di Marco Antonio è attestata da una serie di denari che recano la scritta Ant(onius) aug(ur) III vir r(ei) p(ublicae) c(onstituendae) / leg(io) IIII, e che appartengono tutti a un'emissione "tematica" fatta coniare dallo stesso triumviro attorno al 34 a.C. [10].
Ci furono quindi due legioni contrassegnate col solo identico numerale "IIII", entrambe prive di ulteriori appellativi, ambedue operanti durante il secondo triumvirato e nei cui ranghi sembra ascrivibile il militare bagienno: ma in quale delle due? Possiamo senz'altro escludere che fosse l'unità di Ottaviano, poiché le prime quattro legioni o, meglio, quelle numerate dall'uno al quattro, erano regolarmente formate e alimentate con reclute arruolate dai consoli in carica [11]: prima della riforma augustea, però, non si effettuarono regolari coscrizioni nella Cisalpina e tanto meno nel territorio più recentemente romanizzato dei Bagienni, né consta che Ottaviano seguisse l'esempio di Cesare, il quale aveva immesso anche reclute cisalpine nella sua legione V Alaudae [12]. A qualcosa di simile ricorse invece Antonio, come informa una lettera di Asinio Pollione scritta all'indomani della battaglia di Modena e compresa nell'epistolario ciceroniano (Ad fam. X, 33, 4), dalla quale si apprende che, nonostante le perdite subìte, Antonium turpiter Mutinae obsessionem reliquisse, sed habere equitum quinque (milia), legiones sub signis armatas tris et P(ubli) Bagienni unam, inermis bene multos. L'episodio, come è noto, si colloca nelle complesse vicende che si vennero a creare quando Antonio, raggiunta la Cisalpina in qualità di governatore, cercò di farvi leve per contrastare l'imminente minaccia mossagli dall'esercito consolare e dal giovane Ottaviano. La maggioranza delle comunità restò allineata con l'indirizzo senatorio e di fatto lo boicottò, ma qualche successo egli dovette pur ottenere, visto che il corrispondente di Cicerone gli attribuì un cospicuo nucleo di cavalleria e tre legioni che il prosieguo della lettera dice levate da Ventidio Basso nel Piceno e contrassegnate coi numeri VII, VIII e IX; inoltre c'era pronta una nuova unità anch'essa reclutata da un altro fiduciario, Publius Bagiennus. Il suo cognome, chiaramente connotativo dell'etnico, lo ha fatto ritenere un emissario oriundo del territorio bagienno che Antonio aveva mandato in quella zona ancora fresca di romanizzazione, fidando nella sua notorietà fra i nativi per arruolarvi i coscritti di cui aveva estremo bisogno [13].
Già di per sé valide, queste argomentazioni traggono adesso maggiore credibilità dalla nuova epigrafe, che si accorda perfettamente, nel tempo e nello spazio, con il riferimento ciceroniano: infatti, la cronologia tardo-repubblicana desumibile dall'onomastica di C. Nevius Asus, l'ubicazione della pietra fluviale nella stessa area in cui operò l'emissario di Marco Antonio [14], e infine la sicura esistenza di un Quarta legione fra le milizie del triumviro convergono nel suggerire che C. Nevius Asus fu tra quanti diedero retta alla lusinghe dell'agente antoniano. Forse già appena reclutati, e unendo la calliditas ligure alla sicura conoscenza dei luoghi, i nuovi coscritti contribuirono al buon esito del rocambolesco passaggio nella Gallia Narbonese dell'esercito di cui ormai facevano parte, grazie a una serie di stratagemmi che vanificarono l'inseguimento organizzato da Decimo Bruto attraverso il territorio di Dertona, di Aquae Statiellae e nella area bagienna [15]; tuttavia sul destino successivo di questi uomini non si sa nulla, e si è congetturato che finissero inglobati nelle restanti unità di Antonio o costituissero una legione vernacula a sé stante [16]. Adesso l'epigrafe di Piozzo fa propendere per la prima ipotesi, tenuto conto che nel loro stato d'origine le legioni vernaculae portavano un appellativo anziché un numero [17], e senza trascurare l'eventuale decisione di Antonio nel dar vita, anche con l'apporto dei Bagienni, a una formazione regolare costituita con gli ultimi militari che egli aveva reclutato nella penisola, ridenominandola con lo stesso numero della legione che, proprio nel teatro di operazioni italico e pochi mesi prima della battaglia di Modena, lo aveva piantato in asso per passare dalla parte di Ottaviano [18].


3. Il ritorno di un reduce


Dopo aver servito per tutto l'ulteriore decennio nel settore orientale assegnato ad Antonio in base agli accordi triumvirali, nella generale smobilitazione post-aziaca C. Nevius Asus non rientrò al proprio domicilio d'origine, o per lo meno non ci tornò subito: la tribù da lui dichiarata è infatti la Voltinia, e non la Camilia dei cittadini di Augusta Bagiennorum [19]. La sua menzione, in apparenza insolita, trova invece una spiegazione ottimale nel passo di Cassio Dione (LI, 4, 6), che

Greek Text

In altre parole, dopo Azio Ottaviano confiscò le terre agli abitanti delle località della penisola che avevano parteggiato per Antonio e li dedusse in almeno due colonie extraitaliche, Dyrrachium in Illiria e Philippi in Macedonia [20]: quest'ultima, ridenominata Colonia Augusta Iulia Philippi dopo il suo ulteriore ricondizionamento, aveva gli abitanti ascritti alla tribù Voltinia, giusto la stessa a cui appartenne C. Nevius Asus, che dunque finì anche lui a Filippi come colono [21].
La coincidenza si presta a qualche considerazione. Anzitutto, poiché il provvedimento fu preso nei confronti di coloro che in Italia avevano concretamente favorito la causa di Antonio, bisogna concludere che i Bagienni vi erano rimasti coinvolti in misura ben più massiccia e sostanziale di quanto faccia credere la scarna allusione dell'epistolario ciceroniano, e che dopo Azio si vollero saldare i conti anche con precise e pregresse responsabilità locali. In secondo luogo, è evidente che nei campi lasciati dai Bagienni filoantoniani a maggior ragione non avrebbero potuto subentrare i loro parenti che avevano militato nelle file del triumviro sconfitto, indipendentemente dal servizio onorevole che essi avevano prestato in un conflitto che, a livello di massa combattente, era stato comunque privo di motivazioni ideologiche: fu pertanto logica e naturale la decisione di farli convergere anch'essi a Filippi, e di ricongiungerli ai rispettivi nuclei familiari nella prospettiva di un comune destino di coloni. In terzo luogo, risulta adesso chiaro che al posto dei Bagienni, come altrove in Italia, andarono gli ex combattenti di Ottaviano [22]: ne consegue che, prima di essere ridistribuito, il territorio venne sicuramente ricatastato e fu oggetto di un'effettiva pianificazione che però finora si è soltanto ipotizzata sulla base della denominazione di Augusta Bagiennorum assunta dal capoluogo e allusiva a un intervento augusteo, peraltro inquantificabile; è anzi verosimile che la fondazione dello stesso capoluogo, se non il suo potenziamento con un nuovo piano regolatore in parte emerso negli scavi, sia da mettere in rapporto diretto con l'arrivo dei veterani, benché la sua mancata elevazione alla dignità di colonia faccia pensare a una ristrutturazione non radicale che avrebbe lasciato qualche spazio abitativo ai nuclei di Bagienni non compromessi nell'avventura antoniana [23]. Infine, la soluzione di espiantare in una colonia extraitalica quelli di loro che, compresi i reduci, ne erano stati coinvolti, non fu poi troppo punitiva: infatti, a parte il diritto di cittadinanza che acquisirono diventando coloni, a un certo punto essi poterono rientrare nel territorio d'origine, anche se è da notare che C. Nevius Asus vi tornò come incola, non avendo mutato la sua precedente ascrizione tribale con quella del nuovo domicilio. La translatio domicilii era un diritto che veniva accordato al cittadino che non lasciasse carichi pendenti nel confronti del suo vecchio municipio e non vi fosse stato magistrato negli ultimi sei anni; sono però parecchi i casi in cui, anche per inconoscibili situazioni personali, il cambio domiciliare non comportò automaticamente un rinnovamento della tribù, e fra essi potrebbe cadere pure il mancato adeguamento tribale di C. Nevius Asus [24]: ciò, naturalmente, a meno di non voler supporre operante, come disincentivo imposto dalle contingenze del piano coloniario, il divieto di acquisire la cittadinanza locale per quei coloni che lasciavano le loro assegnazioni e tornavano nelle città natali. In ogni modo, all' incola competeva uno stato giuridico inferiore rispetto a quello dei cittadini di pieno diritto, che si concretizzava in una sostanziale limitazione delle prerogative di voto: una condizione che tuttavia qualcuno preferì anteporre alla prospettiva di terminare la vita coltivando una terra straniera e lontana da casa, in una regione insicura e in mezzo a una massa di coloni eterogenei [25]. C. Nevius Asus fu dunque fra coloro che non si sottrassero al richiamo della nostalgia, e nei campi della patria lasciata tanti anni prima chiuse infine i suoi giorni in un periodo che si può fissare fra il 15 e il 10 a.C. al massimo, supponendolo arruolato sui vent'anni nel 43 e concedendogli la generosa ipotesi di farlo sopravvivere ancora per un ventennio dopo il congedo del 31.
Benché approssimativo, e pur senza recare espliciti elementi datanti, il termine cronologico assegna con assoluto margine di sicurezza, e per la prima volta, una pietra fluviale a un periodo compreso fra la tarda età repubblicana e la primissima epoca imperiale, fornendo così anche la prima testimonianza di un militare ligure coscritto anteriormente alla riforma augustea. Ma, soprattutto, l'iscrizione contiene una bella ed eloquente conferma della rapidità di un processo di romanizzazione dell'elemento indigeno che, senza trascurare il debito dovuto all'"humus" lasciata dalle precedenti assegnazioni viritane a nuclei di coloni medio- italici [26], trovò nel servizio militare l'incentivo più adatto per la propria emancipazione, anticipando una prassi che presto sarebbe diventata corrente e quasi obbligata per chi avesse avuto poche "chances" di conseguire in altro modo il diritto di cittadinanza.



[*] Il testo è stato presentato nella giornata di studi organizzata in onore del prof. Albino Garzetti dall'Ateneo di Brescia il 28-29 X 1994, ed è in corso di stampa negli "Atti" dello stesso Ateneo. Il contributo è finalizzato alla realizzazione dei capitoli relativi a Pollentia e ad Augusta Bagiennorum nella nuova serie dei "Supplementa Italica", e afferisce alla ricerca "La demografia delle città della Liguria romana", finanziata con fondi MURST 40% (responsabile centrale prof. Maria Bollini, Università di Ferrara). Oltre che il dott. Giovanni Coccoluto e il parroco don Mario Gallo con i quali è stata condotta la verifica a Piozzo, l'A. ringrazia, per la discussione che ha contribuito a migliorare queste pagine, i professori Silvio Panciera, Ruggero F. Rossi, Giovannella Cresci Marrone, Enrica Culasso Gastaldi e lo stesso onorato, Albino Garzetti, al quale ancora una volta va il debito di devota gratitudine da parte di un "semigiovane" ex allievo, nel ricordo degli indimenticabili anni del Suo insegnamento genovese.


[1] Sulla loro tipologia vd. G. Mennella, Le pietre fluviali iscritte dei Bagienni. Aspetti e problemi di una classificazione preliminare, in "I Liguri dall'Arno all'Ebro. Convegno internazionale", Albenga 4-8 XII 1982 (= RStLig XLIX, 1983), pp. 18-27; Id., Romanizzazione ed epigrafia in Liguria (originalità, trasformazioni e adattamenti, in Roma y el nacimiento de la cultura epigráfica en Occidente , Zaragoza 4-6 XI 1992, Zaragoza 1995, pp. 17 ss. Per le pietre fluviali di più recente ritrovamento: F. Carrata Thomes, Una nuova pietra fluviale iscritta da Farigliano (CN), «Boll. Soc. Piem. Arch. e Belle Arti», n. s., 38-41 (1984-1987), pp. 35-41; S. Roda, Iscrizioni latine inedite del Museo civico di Cuneo, «ZPE» 49 (1982), pp. 202-203; M. Perotti, Repertorio dei monumenti artistici della provincia di Cuneo. 2: Territorio dell'antico principato del Piemonte, II ("Saggio sulla viabilità antica nel territorio dei Bagienni"), quad. 55g, Cuneo 1990, p. 170, figg. 133-135 e carta a p. 169 (presunta pietra fluviale); [M. Venturino Gambari] - G. Mennella, Centallo fraz. Roata Chiusani, loc. Cascina Propalessa. Necropoli della fase di transizione tra« l'età del Ferro e l'epoca romana, «Quad. Sopr. Arch. del Piemonte» 11, (1993), pp. 241-242. Un'altra pietra fluviale, con l'iscrizione C. Mamisi C. f. è stata di recente localizzata da chi scrive a Morozzo e sarà prossimamente pubblicata negli stessi «Quaderni» della Soprintendenza piemontese.


[2] Cfr. G. Mennella, Le pietre fluviali, cit., pp. 19 e 26 (carta della diffusione areale e specchio riassuntivo). Per le pietre fluviali dell'agro taurinense e dell'area circonvicina, peraltro quasi sempre di dimensioni minori rispetto ai massi bagienni, vd. G. Cresci Marrone - E. Culasso Gastaldi, La documentazione, in Per pagos vicosque. Torino romana fra Orco e Stura, Padova 1988, pp. 13-80, col commento di G. Cresci Marrone, L'epigrafia "povera" del Canavese occidentale, ibid., pp. 83-89; L. Brecciaroli Taborelli, Nuovi contributi epigrafici dal circondario di Victimulae "inter Vercellas et Eporediam", «ZPE» 74 (1988), pp. 133-144.


[3] Per la loro classificazione: I. Di Stefano Manzella, Mestiere di epigrafista. Guida alla schedatura del materiale epigrafico lapideo, Roma 1987, p. 108.


[4] Cfr. CIL I2 pp. 687- 688, nn. 2140-2160 e Suppl. p. 1084; CIL I2 Suppl. pp. 1084- 1085, nn. 3400-3403). Di contro, nessun documento dell'area bagienna è stato incluso nel primo volume del CIL.


[5] Di proprietà ecclesiastica, è inedita ma fu censita dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte nella scheda di catalogo RA 01/ 2884 (neg. nr. 23399), compilata dalla dott. Giuseppa Scalva in data 14/6/1975. A livello di studi locali risulta averne trattato solo C. F. Capello, Piozzo e la sua storia, Chieri 1967, p. 30; inoltre un'immagine della pietra nel suo attuale posizionamento si scorge a p. 14 dell'opuscolo depliant Benvenuti a Piozzo, distribuito dall'Associazione Pro loco. Val la pena segnalare che le iscrizioni finora restituite dal comprensorio di Piozzo sono quattro e tutte figurano su pietre fluviali (le altre tre sono in InscrIt IX 1, 55-57).


[6] Sulla forma Nevius vd. J. Untermann, Namenlandschaften im alten Oberitalien, BN 11 (1960), pp. 301, 314-316 e carta 17 p. 313. Circa il cognome, un Asus Cigeton(ti) f(ilius) risulta fabbricante di terra sigillata forse sud-gallica in CIL XIII 10010, 181, al cui riguardo cfr. A. Holder, Alt-celtischer Sprachschatz, Nachtrag, col. 711 (per altre forme con lo stesso prefisso Asu- vd. ibid., I, coll. 243-250, e Nachtrag, coll. 707-711; A. Möcsy, Nomenclator provinciarum Europae Latinarum et Galliae Cisalpinae, Budapest 1983, p. 32).


[7] Anche se è più comune con la sigla formata dalle prime tre o quattro lettere, la citazione di questa tribù ricorre con una ricca e svariata gamma di abbreviazioni, sulle quali vd. l'elenco del Kubitschek ripreso da R. Cagnat, Cours d'épigraphie latine, Paris 1914 (rist. an. Roma 1964), p. 64, dove è pure contemplato l'esito ridotto alla V e alla L, che nel caso specifico fu certo imposto da motivi di spazio. Del resto, l'interpunzione ben appariscente fra la F e la A preclude sia la presenza di un'indicazione diversa dalla tribù, sia la possibilità di leggere il cognome Ulasus proposto da chi scrive nel corso della comunicazione orale del presente contributo.


[8] Esaminando la pietra si è potuto accertare che dopo il numerale non esiste traccia della G riportata invece nella scheda inventariale (vd. sopra, nota 5), e neppure delle lettere che possano rimandare alla sigla dell'appellativo portato dalle altre "Quarte" legioni (Flavia, Italica, Macedonica, Martia Parthica, Scythica e Sorana: cfr. E. Ritterling, s. v. Legio, in R.E. .XII 2, 1925, coll. 1540-1564). Sulla mancanza dell'appellativo nelle unità legionarie vd. A. Passerini, s. v. Legio, in Dizionario Epigrafico di Antichità Romane, IV (1949), pp. 551-552.


[9] E' la stessa che nella riorganizzazione augustea dell'esercito sopravvisse con il nuovo appellativo di Legio IV Macedonica: cfr. H. Botermann, Die Soldaten und die römische Politik in der Zeit von Caesars Tod bis zur Begrundung des Zeiten Triumvirats, München 1968, in specie pp. 59 ss., 82 ss., 139 ss., 202-203. Un elenco delle attestazioni epigrafiche relative alle legioni triumvirali è in A. Passerini, art. cit., pp. 552-555, da aggiornare, per quanto riguarda l'Italia, con la silloge di L. Keppie, Colonisation and Veteran Settlement in Italy, 47-14 b. C., Roma 1983, pp. 212-223. Altri elenchi, con speciale riguardo ai veterani di Antonio, diede 0. Cuntz, Legionare des Antonius und Augustus am dem Orient, «JÖAI» XXV (1929), pp. 70-80, e particolarmente pp. 71, 74-75.


[10] Vd. E. Babelon, Description historique et chronologique des monnaies de la République romaine, I, Paris 1885 (= rist. an. Bologna 1963), pp. 200-204 nn. 104-145 e specie p. 201 nn. 107-108; H. A. Grueber, Coins of the Roman Republic in the British Museum, II, London 1910 (= rist. an. Oxford 1970), p. 528. Per la datazione più probabile: W. W. Tarn, Antony's Legions, CQ 26 (1932), pp. 75 ss. Da queste monete, tra l'altro, si deduce che Marco Antonio diede una numerazione continua e progressiva alle proprie legioni, diversamente da come fecero Ottaviano e gli esponenti del primo triumvirato: in proposito vd. A. Passerini, art. cit., p. 552.


[11] E. De Ruggiero, s. v. Consul, in Dizionario Epigrafico di Antichità Romane, II (1900), pp. 754-755; A. Passerini, art. cit., p. 551; J. Harmand, L'armée et le soldat à Rome de 107 à 50 avant notre ère, Paris 1967, pp. 246-250; utili anche le osservazioni di E. Gabba, Ricerche sull'esercito professionale romano da Mario ad Augusto, «Athenaeum», n. s., 29 (1951), pp. 180-181 (= Esercito e società nella tarda repubblica romana, Firenze 1973, p. 59).


[12] Cfr. C. Cichorius, in R.E. I 1 (1893), coll. 1295-1296; D. Vaglieri, in Dizionario epigrafico di Antichità romane, I (1895), pp. 382-384, entrambi s. v. Alaudae. Inoltre, E. Gabba, I Romani nell'Insubria: trasformazione, adeguamento e sopravvivenze della strutture socio-economiche galliche, in Atti del 2 Convegno archeologico regionale: La Lombardia tra Protostoria e romanità. Como 13-15 IV 1984, Como 1986, pp. 38 -39 (= Italia romana, Como 1994, p. 254).


[13] La presenza di queste reclute liguri nelle file dell'esercito antoniano è accreditata in tutti i più importanti studi sul secondo triumvirato e nelle storie generali di Roma maggiormente dettagliate, sicché si rimanda solo a titolo d'esempio ai riferimenti nell'opera di R. Syme, The Roman Revolution, Oxford 1939 (tr. it., Torino 1962), p. 179; L. Pareti, Storia di Roma e del mondo romano, IV, Torino 1965, p. 381; M. Volponi, Lo sfondo italico della lotta triumvirale, Genova 1975, pp. 55 ss., 58 nota 6, p. 63, dove si ridimensiona l'attendibilità delle notizie, in gran parte di fonte ciceroniana, secondo le quali Marco Antonio alla fine sarebbe stato costretto ad aprire gli ergastoli per immettere schiavi nei ranghi. Per la bibliografia più settoriale, è sufficiente il rinvio a E. Pais, Intorno alla conquista ed alla romanizzazione della Liguria e della Transpadana occidentale (Piemonte), in Dalle guerre puniche a Cesare Augusto, II, Roma 1918, pp. 541-543; G. E. F. Chilver, Cisalpine Gaul. Social and Economic History from 49 B.C. to the Death of Traian, Oxford 1941 (rist. an. New York 1975), p. 112; F. Carrata Thomes, Contributi sulla romanità nell'agro meridionale dei Bagienni, Torino 1953, p. 68; A. T. Sartori, Pollentia e Augusta Bagiennorum. Studi sulla romanizzazione in Piemonte, Torino 1965, pp. 53-54.


[14] Secondo 0. E. Schmidt, "P. Bagiennus" (Cic. Ep. X, 33 4), «Philologus», 51 (1892), pp. 186-188 (cfr. V. Gardthausen, ibid., p. 518), la lettura P. Bagiennus o la sua eventuale variante Pupillius Bagiennus tràdite entrambe dai codici potrebbero essere emendate nella forma "et populi <Popelli?> Bagienni <Bagiennorum?> unam" che escluderebbe il riferimento alla persona (vd. le varie congetture nel commento all'epistolario ciceroniano di R Y. Tyrrell - L. C. Purser, VI, Dublin - London 1933, p. 250 e in quello, più recente, di D. R. Shackleton Bailey, II, Cambridge 1977, pp. 276 e 551-552). L'ipotesi non è da scartare, benché nella sostanza il valore dell'informazione non muti e un cognome desunto dall'etnico di per sé non sia inverosimile, visto che un Bagiennus è registrato dall'iscrizione carnuntina CIL III 13481, e che potrebbe rimandare allo stesso ordine di idee il gentilizio Bagennius tràdito dall'iscrizione parmense AE 1961, 161 = M. G. Arrigoni Bertini, Parmenses. Gli abitantì di Parma romana, Parma 1986, p. 61 nr. 32 (cfr. A. Ferrua, Note al Thesaurus linguae latinae. Addenda et corrigenda, Bari 1986, pp. 72-73; A. T. Sartori, op. cit., p. 54; H. Solin - O. Salomies, Repertorium nominum gentilium et cognominum Latinorum, Hildesheim 1988, pp. 31, 300).


[15] Sul motivo dell'astuzia dei liguri vd. Anth. Palat. IX 516 = Fontes Ligurum et Liguriae antiquae, Genova 1976, n. 288; Tac., Hist. II, 13 = 472. Per la ricostruzione topografica dell'itinerario seguito da Antonio, oltre alle precisazioni di massima date da A. Ferrua, Inscriptiones Italiae, IX 1: Augusta Bagiennorum et Pollentia, Roma 1948, pp. XIII-XIV, vd. F. Carrata Thomes, op. cit., pp. 63-78, con la precedente bibliografia; A. T. Sartori, op. cit., pp. 53-58; G. Corradi, Le strade romane dell'Italia occidentale, Torino 19682 , pp. 41 ss.


[16] O. E. Schmidt, art. cit., p. 187; H. Botermann, op. cit., p. 195 nota 2.


[17] La già ricordata legione V Alaudae, per esempio, fu coscritta nel 51, ma numerata solo nel 47: vd. E. Ritterling, art. cit., col. 1564; A. Passerini, art. cit., p. 552.


[18] Cic., Phil. III 10, 24; XIII 9, 19 ss. Sull'episodio cfr. R. Syme, op. cit., pp. 127-128; R. F. Rossi, Marco Antonio nella lotta politica della tarda repubblica romana, Trieste 1959, pp. 88-89; M. Volponi, op. cit., pp. 48-49. Sta di fatto che dopo un decennio di servizio questi legionari, così come gli altri a suo tempo reclutati in Italia, dovevano aver maturato un'esperienza notevole e di gran lunga superiore a quella delle forze numericamente più consistenti, ma di minor valore combattivo, che Antonio aveva raccolto in Oriente: vd. W. W. Tarn, art. cit., pp. 75 ss.; M. A. Levi, Il tempo di Augusto, Firenze 1951, p. 137.


[19] W. Kubitschek, Imperium Romanum tributim discriptum, Praha 1889 (rist. an. Roma 1972), pp. 243-244; pp. 101-102, 270.


[20] Altre località macedoni deputate ad accogliere i partigiani di Antonio avrebbero potuto essere Pella, Dium, Cassandrea e Byllis, secondo P. Collart, Philippes, ville de Macédoine depuis ses origines jusqu' à la fin de l'époque romaine, Paris 1937, pp. 229-230. Sul provvedimento richiamato da Cassio Dione oltre a Id., op. cit., pp. 228-229, cfr. pure W. W. Tarn, The War of the East against the West, in Cambridge Ancient History, X, 1934, p. 106; R. Syme, op. cit., p. 305; L. Keppie, op. cit., pp. 76-80; A. T. Sartori, op. cit., pp. 104-105; Appiani bellorum civilium liber quintus, a cura di E. Gabba, Firenze 1970, p. LIX.


[21] Pertanto la nuova testimonianza è da aggiungere nella tabella d) (soldats où veterans) delle liste redatte da P. Collart, op. cit., pp. 260-261, dove alle pp. 223 ss. e 232 ss. sono delineati i primordi della colonia antoniana e augustea, per i quali cfr. pure J. Schmidt, s.v. Philippoi, in R.E. XIX 2 (1938), coll. 2233-2234, nonché i riferimenti in A. Degrassi, L'amministrazione delle città, in Guida allo studio della civiltà romana antica, I, Napoli 1967, pp. 324, 327 (= Scritti vari di Antichità, Trieste 1971, pp. 91, 94).


[22] Benché i programmi del vincitore prevedessero un amalgama fra le due armate (cfr. Vell. II, 85, 2: pariter et suarum legionum milites colonos fecit, alios in Italia, alios in provinciis), in pratica poi si crearono inevitabili discriminazioni nei confronti degli antoniani, stimabili a non meno di 30.000 al momento della resa: non tutti ottennero assegnazioni di terre e pochissimi sarebbero riusciti ad averle in Italia (forse a Bononia e a Beneventum secondo L. Keppie, op. cit., p. 80: ma l'ipotesi è controversa, e non è da escludere che si trattasse di veterani quivi dedotti già nel 42, dopo la battaglia di Filippi).


[23] La fondazione viene fatta risalire a dopo il 27 a. C. (L. Keppie, op. cit., p. 15), ma il terminus post quem finora documentato non è anteriore al 5 a. C., data della titolatura di Augusto nella dedica CIL V 7696 = InscrIt IX 1, 117. Lo stato della questione è riassunto da N. Lamboglia, La Liguria antica, I, Milano 1941, p. 260; A. Ferrua, op. cit., pp. XIII-XIV; A. T. Sartori, op. cit., pp. 102-110; la bibliografia più recente sugli scavi nel sito è fornita da F. Filippi, Giuseppe Assandria archeologo e le sue ricerche su Augusta Bagiennorum, in La memoria della cultura. Giuseppe Assandria a 150 anni dalla nascita. Atti del Convegno di Bene Vagienna, 15-16 IX 1990, Cuneo 1994, pp. 51-71. Il documento di Piozzo e le considerazioni che ne conseguono tenderebbero adesso a confermare l'idea del Gabba (I Romani nell'Insubria, cit., pp. 39-40 = Italia romana, cit., pp. 255-256), che in questo settore territoriale non si fossero fatte né centuriazioni né distribuzioni agrarie prima dell'età augustea.


[24] Sulle condizioni della translatio domicilii e per la relativa letteratura giuridica vd. G. Forni, "Doppia trlbù" di cittadini e cambiamenti di tribù romane, in Tetraonyma. Miscellanea Graeco-romana, Genova 1966, pp. 139 ss. e specie 148 ss., con esempi e conclusioni in parte ripresi da Id., Il ruolo della menzione della tribù nell'onomastica romana, in L'Onomastique latine, Colloque international CNRS, Paris 13-15 X 1975, Paris 1977, pp. 90-91.


[25] Secondo il Collart (op. cit., pp. 229 ss., 246-247), nell'insediamento finirono, in ravvicinata successione cronologica e in forzata coesistenza, dapprima i veterani di Antonio dedotti nel 42 dopo Filippi, poi i pretoriani di una coorte di Ottaviano che rifondarono la colonia, e infine gli italici partigiani di Antonio; ciò, senza contare che l'ambiente circostante rimase ostile e fu completamente pacificato solo qualche tempo dopo la fondazione coloniaria.


[26] Su questo aspetto vd. E. Gabba, Rome and Italy in the Second Century B.C., in Cambridge Ancient History, Cambridge 19892, pp. 212 ss.; Id., I Romani nell'Insubria, cit., pp. 34 ss. (= Italia romana, cit., pp. 253-254)O; G.. Bandelli, Per una storia della classe dirigente di Aquileia repubblicana, in Les "Bourgeoisies" municipales italiennes au IIe et Ier siècle av. J. C. (Colloque international CNRS 7/10 XII 1981), Paris - Naples 1983, pp. 175 ss. e specie p. 182; Id., Le classi dirigenti cisalpine e la loro romanizzazione politica (II-I secolo a.C.), «DArch» 10 (1992), pp. 3- 45. Un elenco degli ultimissimi indizi epigrafici relativi alla preesistente colonizzazione viritana chi scrive ha dato nel contributo Gli Helvii di Alba PomPeia, «RStLig» 59-60 (1993-1994), in corso di stampa: non si dimentichi tuttavia il ruolo, certo notevole, che dovettero svolgere gli ex militari sommariamente alfabetizzati e responsabili delle prime forme di acculturazione scritta nelle campagne in cui andavano o tornavano a risiedere: G. Mennella, Epigrafi nei villaggi e lapicidi rurali: esempi dalla IX regio, in L'epigrafia del villaggio (V Rencontre sur l'épigraphie du monde romain, Borghesi 90), Faenza 1993, pp. 261-280


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Last technical revision April, 29, 1996.

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